(Southern Lord Recordings) Primo album dopo venti anni per questa band che dopo i anni ’90, si ferma nel 2001, per poi riprendere poi sei anni dopo per uno spettacolo e che vorrebbe ricominciare, riprendere, di riunirsi e ogni volta non c’è alcuna concretezza. Un album vero e proprio dopo due decadi è un gran bel segnale. Due sole composizioni di circa 19′ e circa 18′ sono l’ossatura di “Asclepius”. L’album presenta un autorevole lavoro chitarristico da parte di James Holder e Gentry Densley, I due si comportano come se fossero a una jam session. Di conseguenza la batteria diventa come un cavallo al galoppo in battaglia. La suona Joseph ‘Chubba’ Smith. ‘Chubba’ è una macchina infaticabile e libera. Con Holder è uno dei due membri fondatori, pur tuttavia Densley, anche voce, e il bassista Cache Tolman sono comunque in formazione dai primi anni ’90. Un gruppo vero, unito e si sente da come addomesticano le andature dei pezzi, passando da uno stoner a un rock seventies in forma libera, con reminiscenze psichedeliche e neo-acide, con momenti dove emergono andature pesanti. “Healing the Ouroburos” è una cavalcata che si trasforma in uns sequenza semi-acida e stralunata, mentre “Dahlia Rides the Firebird” sembrano i Melvins in maniera affatto eccentrica eppure ‘cotti’ e devastati ma allo stesso tempo intrappolati in una cadenza settantiana. Sempre attenti ai temi legati alla mitologia, Iceburn intitolano questo album con il nome del dio greco della guarigione e della medicina. Un coincidenza, visto il momento? Forse, ma la band ha comunque dichiarato che «sembrava che avessimo bisogno di guarigione anche prima che arrivasse questa pandemia». Bene Iceburn, guarite e tenete duro, suonate: in giro, in studio, ma continuate a suonare, per favore!
(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10