(autoprodotto) Stai venendo a me per scoprire la verità nascosta della tua carne. E’ questa frase (l’originale in inglese, da “The Well”), che mi ha colpito e -forse- rivelato il significato de “Il Tempio Del Dolore”. Una frase che riporta direttamente all’essenza, a quel black metal che esplora il mistico, l’umano, il carnale, il mortale… sempre legato alla natura, con i suoi ritmi, i suoi momenti, le sue regole, il suo dominio. Arriva così il secondo lavoro di Imbolc, side project del batterista degli Italiani Dark End, che qui si occupa anche del concept e delle linee vocali. Con lui, ancora una volta, Images (ex Dark End, qui chitarre e tastiere), partner fedele in questo vagare attraverso percorsi oscuri capaci di portare all’origine -ed alla fine- di tutto. Il salto di qualità rispetto al precedente “Il Ritorno Della Luce” è mostruoso: non mi aspettavo una simile crescita, sono veramente sorpreso nel percepire un tale innalzamento del livello musicale, compositivo, vocale, melodico, concettuale. Certo, si sentono le influenze che derivano dal vasto gusto musicale di Valentz, ma è palese che questo album contiene un black metal poderoso, a tratti veloce, mai estremo, a volte melodico e marziale costruito per circondare un percorso spirituale in costante bilico tra culto e morte: concetto esaltato da frasi come “Lo scintillante zodiaco richiama la mia più profonda agonia” (dalla title track). Ed è proprio questa la magia di Imbolc, questo costante gioco spietato tra religione e anti-religione, tra condanna alla vita ed il sollievo della morte, tra misticismo ed il realismo di madre natura, ovvero colei che garantisce origine e fine a tutto, senza dei, senza demoni, senza spiriti, senza tutte queste debolezze generate dalla mente umana. Una natura che sembra recitare un verso dell’ottima “Stonebook” che sembra una condanna inflitta dal destino: “Spaventati chiamano il mio nome, con l’ultimo umano respiro”. Cinquantacinque minuti, nove tracce: un’opera matura, coinvolgente, geniale, capace di unire con armonia versi in Inglese ed in Italiano. Dopo un intro inquietante che porta verso territori ai confini della coscienza, pienamente dentro l’orrore, c’è “Dead In Flesh”: riff ipnotico, di scuola norvegese, ma integrato in una melodia mai eccessiva, sempre capace di supportare l’atmosfera. Il growl di Valentz è preciso, feroce. Arriva una parentesi cinematografica, effetti, la voce di Valentz raggiunge estremi meravigliosi, e l’intero pezzoi continua la sua evoluzione verso una maggiore intensità la quale culmina con una sezione corale oscura, che ricorda certe performance di Gaahl (God Seed). Ma il vero culime del disco è rappresentato dalla triade che segue; prima di tutto “The Land Where Cold Wind Blows” con un riff travolgente e veloce fino a metà canzone, quando tutto diventa improvvisamente atmosferico e melodico, per poi volgere al trionfale e maestoso. Seguono poi “The Well Part 1” e “Part 2”; Evidentemente le tracce dove è stata canalizzata una grossa dose dell’ispirazione, con un risultato immenso. La prima parte è delicata, introspettiva, melodica, allietata da arpeggi… con un crescendo di riposo mentale ma anche di subdola ansia che esplode con la seconda parte dove un altro riff ipnotico, ma trionfale, crea il territorio di base per le varie evoluzioni che la canzone presenta. Violenta e brutale “Aeon Light”, crudele, ma anche intensa e riflessiva “Stonebook” che si interrompe drasticamente per dare spazio alla maestosa title track (oltre dieci minuti), dove molti cambi di tempo, di tema e di melodia, si inseguono su una traccia che risulta marziale, disperata, piena di odio, forza e disperazione, tutte senzazioni miste che culminano con un concetto definitivo e risolutivo: “Io sono il mio salvatore, io sono il mio dio”. In chiusura c’è “Drops Of Life”, un piccolo capolavoro: i suoi quattro minuti di arpeggio e sinfonia celano un breve testo che rappresenta un epilogo, una fine, forse un inizio, apparentemente una rinascita; dopo tutto l’Imbolc -l’antica festa celtica-celebrava la luce, l’imminente risveglio, l’ormai vicino ritorno alla vita: dopo la stagione più dura, dopo gli stenti, dopo il freddo. Dopo la crudele oscurità dell’inverno.
(Luca Zakk) Voto: 9/10