(Napalm Records) Sempre e solo profonda oscurità dai meandri della Foresta Nera. Avvolge la mente il settimo album dei tedeschi Imperium Dekadenz, in un sublime equilibrio tra black meta più classico, di matrice nordica e divagazioni più ricercate, sempre atmosferiche, tetre, suggestive… senza mai che questi due filoni vengano chiaramente divisi, dando quindi vita ad una miscela imponente, una impronta molto personale nel concepire la musica estrema. Nella dimensione sonora che si materializza, convive il black metal furibondo con il black metal melodico, passando per tendenze depressive -perfette per le tematiche che ruotano attorno alla disperazione-, viaggiando attraverso accenti atmosferici, ipotesi folk e mid tempo micidiali, irresistibili, tanto ostili quanto… catchy. C’è un innegabile sentore epico nell’incedere nervoso di “Into Sorrow Evermore”, cosa che aleggia anche nelle sonorità apparentemente più taglienti di ”Truth Under Stars”, un brano ricco di evoluzioni, capace di combinare momenti esaltanti e parentesi brillanti a corse furiose verso l’infinito, in un costante altalenarsi di impostazioni melodiche, ritmiche e teatrali, a conferma della geniale e libertina creatività di Vespasian e Horaz. C’è molto dolore, molta disperazione, una infinita malinconia nel tema principale della bellissima “Aurora”, una traccia favolosamente uggiosa, lenta, pesante, provocantemente lacerante. Capolavoro “Elysian Fields”, un marciare inesorabile verso la perdizione più decadente esaltata da un mid tempo colossale arricchito da un drumming inneggiante alla decadenza più profonda. Feroce e pregna di malvagità “Forests in Gale”, mentre “Awakened Beyond Dreams” è un altro esempio della genialità creativa dei due, un pezzo che trascina dentro un circolo vizioso di ritmi ossessivi, ipnotici, rituali, pur regalando un black metal incalzante, prorompente, quasi guerrafondaio. Malinconia, mestizia, totale poetica desolazione con l’emozionale “November Monument”, una canzone che evolve, che verso l’imponente finale urla, grida, soffre, conducendo alla celebrazione dei sentimenti cupi rappresentata dalla conclusiva “Memories … a Raging River”, un brano che converte lacrime in violenza sonora, malinconia in strazio, speranza in ricordi dolorosi spazzati via da un turbolento fiume in piena. Un album che si manifesta con un passaggio dalla furia irruente del principio, alla negazione della vita rappresentata dalla interna afflizione che domina sul finale. Il tutto con tremolo e batterie tuonanti, melodie epiche ma dannate, tempi incisivi ma massacranti. Musica dipinta da un pennello esperto ed ispirato, su una deforme una tela nera, capace di assorbire la luce, negandola, vanificando il significato dei colori, annullando l’ideale di vita che troveremmo dentro visioni celestiali o scenari naturali. “Into Sorrow Evermore”… nel dolore… per sempre… nelle tenebre, nel gelo, nel profondo di una glorificazione della morte e della sua devastante ed affascinante eternità.
(Luca Zakk) Voto: 9,5/10