(Les Acteurs de L’Ombre Productions) I francesi In Cauda Venenum sono una bestia strana, misteriosa, contorta e provocante. Il loro debutto di cinque anni fa (recensione qui) fu un’opera senza regole, un’opera capace di canalizzare in un contesto black e post black un infinito libertinaggio stilistico. Sorpresero poi nuovamente l’anno successivo partecipando ad uno split (qui) con un brano capace di girare in maniera superlativa attorno al “Tema di Laura Palmer” del maestro Angelo Badalamenti. Ed ora, dopo alcuni ulteriori anni, eccoli tornare con un nuovo mostruoso lavoro, ancora una volta due sole tracce con durata di oltre venti minuti ciascuna, ribadendo la loro naturale ribellione a qualsivoglia formato standard di produzione discografica. Gli In Cauda Venenum non solo mettono in musica trame con arrangiamenti estremamente complessi: anche il concetto dietro ai dischi ha sempre e comunque un profondo significato. Se il precedente lavoro partiva dall’artwork di Jeff Grimal (degli Spectrale, ex The Great Old Ones), artista che cura anche l’artwork di “G.O.H.E.”, per addentrarsi su argomenti legati ad utopia, fatalismo, vita e morte espressi attraverso arte e storia, sull’ultimo lavoro il duo francese si fa ispirare dall’omicidio della madre dello scrittore noir americano James Ellroy (pseudonimo di Lee Earle Ellroy), tanto da concepire il disco come un tributo ad una madre, alla signora Geneva Odelia Hilliker Ellroy, al suo omicidio tutt’ora irrisolto (qui), apparentemente mettendo quindi in secondo piano (se non quasi accusandolo) il noto autore, il quale effettivamente parlò della vicenda nel suo romanzo “Clandestino“. In verità gli In Cauda Venenum esprimono la redenzione dell’autore e della sua vita tutt’altro che facile, percorso da lui seguito attraverso la scrittura e quindi reso romantico, ossessivo, deviato ed infine catartico. “Malédiction” dopo un’introduzione tetra e teatrale si evolve su un black opprimente sferzato da melodie epiche esaltate dagli strumenti aggiuntivi (nell’album ci sono tre musicisti ospiti, incaricati di violoncello, contrabbasso e pianoforte), deviando poi su teorie atmosferiche ricche di angoscia, ma anche di musicalità eccellente, con archi e basso che danno vita ad una ambientazione sonora immensa. “Délivrance” mantiene solidi i concetti espressi con la prima traccia usandoli poi come punto di partenza per spingersi oltre nella direzione dell’angoscia, della teatralità, di un’oscurità fumosa che lascia trapelare idee con un sapore sia medioevale che assurdamente vittoriano. La complessità progressiva del brano non lascia da parte una pesantezza travolgente, un riffing selvaggio, deviazioni teatrali superbe (con quei sample vocali indovinatissimi), atmosfere tra un doom apocalittico ed un black dominato da perversioni immonde. Immensi. Complessi. Suggestivi. Ancora una volta Ictus (Romain Lupino) e N.K.L.S. (Nicolas Deléchenault) si dimostrano due artisti immensi, puri, liberi ed ispirati da quel lato oscuro che pervade l’essenza dell’essere umano… un’ispirazione che loro sanno inquadrare, sezionare, sventrare, sviscerare e ricomporre sotto dorma di maestosi teoremi musicali.
(Luca Zakk) Voto: 10/10