(Indie Recordings) Crescita senza limite per questa particolare realtà norvegese! “Solemn”, il loro quinto album, dimostra che i confini del death metal -per quanto progressivo o avant garde- sono ormai illimitati… e basta immergersi nella opener “Shadows Flap Their Black Wings” godendosi l’accostamento geniale di melodia dominante e fiati per capire che qui siamo su altri livelli; e non sto parlando del semplice inserimento di sample tratti da strumenti non convenzionali nel genere sopra ad una band che pesta, sto parlando di arrangiamenti concepiti con cinismo artistico travolgente, come si nota alla fine del brano, dove si rivela favolosa quella transazione della melodia dalla chitarra verso i fiati, questi poi supportati da una divisione ritmica prepotente, dimostrando un gusto semplicemente geniale. Il gioco delle due voci -harsh e clean- poi, funziona divinamente, mutando all’improvviso l’andamento dei brani, cosa molto accattivante con titoli quali “To the Gallows”, pezzo contorto nel quale growl, scream e clean si inseguono con fantasia e originalità. La voce clean di Sindre Nedland sale di livello con un capitolo come “Season of Unrest”: non si tratta più di una voce pulita pensata ‘solo’ per contrastare il growl, è piuttosto una forma d’arte a se stante che in questo brano svela doti tutt’altro che banali, più vicina a realtà quali Leprous che qualsivoglia altra clean vocals secondaria nel mondo del metal estremo; il brano, poi, si spinge oltre la voce di Sindre, inglobando un sassofono jazz capace di una espressività destabilizzante, poi intelligentemente ceduta ad una chitarra sublime. Malinconica ma potente “At the Going Down of the Sun”, “Where the Winds Meet” apre inquietante e drammatica, per poi progredire con vastità sonora infinita, passando da momenti riflessivi ed eterei a sfuriate diaboliche; emerge sofferenza dall’impattante ed imprevedibile “Beyond the Pale”, è seducente e decisamente sognante “Blood Makes the Grass Grow”, l’oscura “Eternal Waves” regala una parentesi che si colloca tra elettronica e funk dell’oscura, rendendo il brano incredibilmente fantasioso, oltre che epico grazie ai fiati; “Watch for Me on the Mountain”, infine, dipinge malinconia, dipinge autunni e tristezze, con quel suo incedere tagliente ma delicato, misterioso ma impattante. Un album immenso, capace di crescere a dismisura ascolto dopo ascolto. Tecnica sopraffina, chitarre e batteria di altissimo livello, arrangiamenti corposi e coinvolgenti, una produzione maestosa; gli In Vain sono ormai una band alla quale etichette come ‘progressive death’ sembrano andare strette, essere sempre meno identificative, sempre più restrittive, totalmente incapaci di spiegare la maestosità compositiva ed esecutiva di questo sestetto di Kristiansand!
(Luca Zakk) Voto: 9,5/10