(Autoproduzione) Dietro a questo nome si cela un duo francese che ha collaborato a entità non meno maligne di questa, come i Mass Grave e gli Evisceration. Fieramente sponsorizzato come una produzione analogica, il disco è a mio avviso impropriamente additato come black metal, per lo meno come lo conosciamo oggi. Anzi, nelle nove tracce che compongono l’album ho sentito di tutto e solo per ultimo ho elaborato l’album come musica ‘estrema’, quindi essenzialmente black. L’intro rimanda, pensate, a suoni a tratti settantiani, come la successiva “Chaos”, che se non fosse per il cantato urlato potrebbe tranquillamente finire in un’antologia del doom. I tempi lenti ed il poderoso incedere connotano la release in un’aura di claustrofobico abbandono al male e al pessimismo, un’atmosfera sinistra che si mischia a quella della natura, dei boschi e dell’ambiente selvaggio. Con “Anthropocene” le coordinate cambiano, le carte vengono rimischiate. Ecco un black primordiale e corposo che fa da tributo a gruppi seminali come Venom e Bathory. La successiva “Black Metal Is Dead” conferma suoni oscuri e datati, mentre “Muddy Abyss” riprende i suoni doom a sfavore di ritmi più veloci e rimembranti i vecchi Darkthrone. Il disco risulta a tratti quasi scanzonato, manifestamente tributo ad una musica del passato e ad un certo modo di concepire il black che al giorno d’oggi fa a tratti sorridere. Ma la coppia Infamy è tremendamente seria e costruisce un lavoro onesto e senza inutili aggiunte in studio. Traspare in ogni nota l’amore per il black così come era stato inteso alla nascita, ossia musica estrema oltre ogni limite.
(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 8/10