(autoproduzione) Lanciano il loro assalto gli Inner Whiteout, attraverso il debut album “Bottom Seeker”. Loro sono definibili come metalcopre ma non di taglio classico. Gli italiani sembrano maturi nell’avere recepito le derivazioni prese dal genere da qualche anno e infatti mostrano un certo gusto nell’arrangiamento. Poco più di quaranta minuti nei quali si intravedono scorci tra il prog e altri verso il djent metal. I pezzi degli Inner Whiteout non sono statici, si evolvono nel loro interno e al di là del risultato tra soluzioni contemporanee e classiche, questo dinamismo si percepisce al solito come l’accostare il melodic death o thrash che sia a un hardcore che in questo caso è ormai quasi irriconoscibile. Arrivano anche momenti da ‘luci basse’, dunque calmi che intrigano certo ma segnano anche una libertà che alla fine è davvero prog, nonché diventa il senso dei pezzi di “Bottom Seeker”. Il cantato certo è un urlare continuo: satura le linee vocali e le strofe terminano sempre con questo urlo prolungato. Insomma, un cantare in screamo che al massimo lascia spazio al growl, qualche parlato ma sempre urlandolo e senza mai usare, scelta ampiamente apprezzata, strofe melodiche e in voce pulita nelle sezioni centrali. “Bottom Seeker” non si assorbe con semplicità, perché molto articolato, con un cantato esasperante, in più i breakdown, pochi, martellano e quei giri di chitarra ipnotizzano. Però, lo si sa bene, il genere è questo e gli Inner Whiteout hanno trovato abbastanza spazio per essere sé stessi, con le loro abilità e i punti da fare crescere. Infine, “Another Look” è un pezzo bellissimo!

(Alberto Vitale) Voto: 7/10