(code666) Dopo l’EP “Mourn” e il precedente full length “The Void and the Unbearable Loss”, QUI recensito, i romani Invenoir registrano e pubblicano il loro secondo album, rimanendo in quella sfera malinconica, decadente e sospesa tra vuoto e sogni rappresentata con un gothic-doom metal di estrazione classica. Dunque My Dying Bride, primi Paradise Lost e cose del genere, rappresentano il manifesto d’ispirazione per gli Invernoir, ovvero la filosofia di stile che rinforza il loro schema musicale comunque lucido, con suoni netti e una certa potenza e impatto nel loro suonare. Tra atmosfere appunto malinconiche e linee delicate, avvolgenti, Invernoir sviluppano con “Aimin’ for Oblivion” una saga sonora in poco meno di cinquanta minuti. Spicca da subito la ricchezza nel suonare della band che usa voci pulite, growl e scream, assoli di chitarra, ritmi lenti o medi, atmosfere e melodie ombrose oppure con un piglio maggiormente intenso, tenace e con una carica di groove. Dinamici e romantici senza dubbio, per certi aspetti duri in più frangenti, gli Invernoir non sono prevedibili nei loro schemi compositivi. Una band che tinteggia atmosfere oppure andature sostenute, sconfinando poi in trame oniriche, lunari. Un gioco di contrasti, di alternanze melodiche e dunque attraverso un susseguirsi di atmosfere. Tutto scorre in questo nuovo album di musicisti legati a esperienze con Black Therapy, Shores Of Null, Lykaion e altri.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10