(Napalm Records) Generalmente, i Kamelot stanno poco simpatici a molti metalhead: ma non credo si possa negare il valore della band di Thomas Youngblood. I nostri sono arrivati all’undicesimo disco, e l’abbandono di Roy Khan è ormai acqua passata: “Haven” continua su una linea sonora ben definita e attestata, dove è praticamente impossibile fallire. La opener “Fallen Star” presenta subito tutti i trademark della band: sound cinematico, potente, sinfonico, la voce cristallina del bravo Tommy Karevik, un refrain cantabile e melodico. Un giro di tastiera dai toni orientali, ma sempre sostenuto, per “Insomnia”, ritmata e maestosa “Citizen Zero”: l’album decolla subito, tenendo conto che ho citato tutti e tre i primi brani in scaletta. Noto inoltre con piacere che la durata media dei pezzi è mediamente diminuita, per un aumento dell’immediata fruibilità da parte dell’ascoltatore. Sulla dolce ballad “Under grey Skies”, dal ritornello migliore del disco, Tommy duetta con la splendida Charlotte Wessels dei Delain; “My Therapy” esalta ancora la dimensione cinematografica del disco. “Liar Liar (Wasteland Monarchy)” presenta un power metal più diretto, con meno fronzoli gotici e orchestrali: l’assolo di tastiera viene direttamente dagli Stratovarius. Godibilissimo l’intermezzo sinfonico “Here’s to the Fall”; la band si riserva per il finale il pezzo più aggressivo e progressive, “Revolution”, che va nella direzione dell’ultimo Turilli e vede la partecipazione di Alissa White-Gluz. In coda la titletrack, tre minuti strumentali perfetti per una colonna sonora. Un power/prog/gothic di grande impatto per dei big che ancora resistono.
(René Urkus) Voto: 7,5/10