(Indie Recordings) A cinque anni dal fantastico “Reptilian” tornano i Norvegesi Keep Of Kalessin, sempre capitanati dal mastermind e chitarrista Obsidian Claw che ora prende anche il controllo del microfono in seguito alla non tanto chiara dipartita di Thebon, il singer dei precedenti tre album (ovvero dal 2006 in poi). Thebon offriva principalmente un growl feroce, devastante, pertanto la nuova identità vocale cambia di molto i connotati del sound della band, il quale risulta fresco, super tecnico, ferocemente preciso e coinvolgente. Le linee vocali, infatti, sono ora molto più variegate: arrivano ad un clean che ricorda Ickx Vortex, e offrono un growl meno cupo del precedente ma altrettanto feroce, violento e lacerante. “Epistemology” è composto da otto imponenti tracce (sette escludendo l’intro), spesso ben oltre i sette minuti di durata ciascuna, le quali offrono atmosfera, velocità, tecnica, assoli veramente ben costruiti ed una biblioteca di riff taglienti senza paragoni. Stupenda l’opener “The Spiritual Review”! Nei suoi quasi dieci minuti offre una vasta gamma di suoni, di scenari musicali, di emozioni: death tecnico, blast beat con cantato pulito e corale, atmosfere con pianoforte, drumming superlativo in ogni istante. “Dark Divinity” è complessa, con le sue stupende dissonanze esalta un riff diretto e lineare, con un cantato forsennato e feroce, il suono del basso maledettamente metallico, il singing che muta di forma ed entità e gli assoli di prim’ordine decisamente lontani dal normale repertorio death o black. “The Grand Design”, trionfale, introversa, piena di aspettative, si abbandona a riff tecnici, oscuri, che fanno trattenere il respiro; anche qui gli assoli sono intelligenti e sempre supportanti da ritmiche feroci con un drumming che non fa prigionieri. Estrema la parte verso il finale della traccia, una totale esaltazione dell’isterismo che si trasforma poi in un trionfo glorioso. Apparentemente un thrash/death di vecchia scuola l’inizio di “Necropolis”, canzone che prende corpo e diventa un massacro ritmico poderoso, sempre con una chitarra solista perfetta, coinvolgente, emozionale. Blast beat e furia sulla corta “Universal Core”, un tripudio di doppia cassa e vocalist che si esibisce in tutte le sue varianti, entrambi scatenati su una melodia trasudante una epica decadenza. “Introspection” è piena di cambi e variazioni, sempre con un sound poderoso, un basso devastante, riff criptici, singing epico e brutale, mentre la conclusiva title track è un altro esempio della sublime capacità compositiva della band: quasi dieci minuti che arrivano ad invadere i territori del virtuoso della chitarra, passando per riffing frantuma ossa, navigando attraverso sonorità strane, arrangiamenti lontani dagli standard, decisamente appartenenti ad un altro livello. La canzone è un immenso contenitore di idee molto ben accostate ed offre suoni etnici, death metal feroce, death metal ultra tecnico, chitarra solista esemplare e capace di trasmettere messaggi intensi, sensazioni magiche. Di fatto la title track riassume la grandezza di questa band, di questa creatura assurda ormai in circolazione da vent’anni. I Keep Of Kalessin sono ultra tecnici, ma sono capaci di emozionare. Sono brutali ed atmosferici. Sempre capaci di sgretolare le rocce con riff laceranti e spietati, riff che sono comunque sempre chiari, definiti, precisi e freddamente chirurgici. Siamo oltre il death ed il black. Ma anche trasversali rispetto all’avantgarde. I Keep Of Kalessin fanno un metallo estremo, il loro, sempre furioso e spietato: con un songwriting mostruoso, una abilità esecutiva esemplare ed una capacità di coinvolgere, di scolpire idee diverse ed non convenzionali che il pubblico può percepire, assimilare, amare. I Keep Of Kalessin sono brutalità elevata a pura e sublime forma d’arte.
(Luca Zakk) Voto: 9/10