(Logic(il)logic) Da buon metalhead mi sono un po’ insospettito quando ho letto come i bresciani Kezia definiscono la propria musica: ‘prop’, ovvero una fusione di progressive e prog. Per fortuna (o almeno così giudicano le mie orecchie) si tratta soltanto di una mossa per farsi notare: chiunque segua regolarmente le nostre pagine può tranquillamente accostarsi a “The dirty Affair”, che mette assieme diverse influenze e tendenze, ma mai allontanandosi davvero dall’ambito rock/metal. “Before I leave” è grintosa e aggressiva, con delle linee vocali sempre sopra le righe e qualche incursione addirittura nel jazz. “Ebola” ha un andamento piacevolmente folle, protagoniste le onnipresenti tastiere di Antonio Manenti; c’è un feeling tutto anni ’80 in “Sneakers”, mentre è allegra e dotata di un meraviglioso refrain “Barabba Son’s Song”, che eleggo a mio brano preferito del disco. Maggiore complessità in “Quendo”, un pezzo che si prende più sul serio, con qualche vago punto di contatto con il prog metal tirato degli Adagio; si chiude con “Treesome”, un pezzo che fa un ottimo uso dei cori e, ancora una volta, delle tastiere, talora spinte proprio a toni orchestrali, talaltre verso l’elettronica sfrenata. Nonostante la brevità dell’insieme (sette brani più un brevissimo intermezzo) i Kezia dimostrano personalità, bravura e carisma. Promossi!
(René Urkus) Voto: 7,5/10