(Steamhammer/SPV) Come può essere una band costituita da Vinnie Appice (batterista di R.J.Dio, Blask Sabbath e altri), il bassista Rex Brown (Pantera) e (aggiunti in seguito) Mark Zavon (chitarrista, per qualche tempo nei W.A.S.P.) e dal cantante Dewey Bragg? Lo potrete scoprire attraverso questo album che prende appunto il nome dei musicisti suddetti, Kill Devil Hill. Gente di spessore per un sound che, per comodità di chi scrive, lo si potrebbe collocare nel settore dei Black Label Society o dell’alternative metal, cioè quello dei suoni robusti e intrisi di cose southern rock e affini. Si, una collocazione altamente fruibile e che avvicina il sound, per quanto corposo e robusto e metal nelle distorsioni, al rock e alle sue reminescenze dei confratelli di una volta (ad esempio Led Zeppelin). La produzione è di Warren Riker (Down, Corrosion of Conformity, Sublime, Cathedral) e si dimostra pulita, ma non laccata. I brani dei Kill Devil Hill sono piacevoli, ma hanno necessità di essere ascoltati più volte. E’ curioso, ma l’album possiede diversi pezzi che non riescono subito a stamparsi nella mente, oltre a quelli che nella sostanza si rivelano di una fattura meno efficace, rispetto ad altri. Si mettono in mostra la sommessa e semi-lisergica “Gates of Hell”, “Rise from the Shadows”, “Old Man”, “Hangman”, “Time & Time Again” (che sono pezzi posti nella mediana dell’album). Nel complesso però questo debutto alla fine si assimila, visto che i riff, ma anche alcune scelte di metrica vocale, arrivano a cingere Soundgarden, i già citati Black Label Society e i Down. La sfera d’azione di Appice e soci è dunque questa e gli amanti del rock duro ora sanno cosa possono aspettarsi da questa nuova formazione.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10