(Inside Out Music) Sul finire degli anni ’80 e soprattutto agli inizi dei seguenti anni ’90, i King’s X hanno fatto perdere la testa a molti. Successo di critica mondiale per un trio che con la propria gavetta raccoglieva e giustamente i frutti della notorietà, raggiunta suonando rock, hard rock, prog, psichedelia, funk. Da sempre in attività e con Dug Pinnick, Jerry Gaskill e Ty Tabor impegnati anche fuori dalla band, dopo quattordici anni il trio propone un nuovo album. Con “Three Sides of One” i King’s X hanno il merito di scrivere un lotto di canzoni, undici, ben diverse tra loro eppure per una buona metà essenzialmente deboli oppure stanche. Alla vivace opener “Let It Rain” e seguente e un po’ sognante ma meno ispirata del previsto “Flood Pt. 1”, la funkeggiante “Give It Up” e “Watcher” oppure anche “Nothing But The Truth” fanno da contraltare “She Called Me Home”, tra un abuso di Beatles e britpop che si ritrova anche altrove, la sognante e soporifera “Every Everywhere”, la frenetica “Festival” che sembra un pezzo pop-punk e poi la ballad “Take The Time”, sdolcinata ma offuscata, oltre poi alla prolissa “All God’s Children”. È pur vero che il trio ha un approccio rispettabile, con armonizzazioni vocali morbide, qualche schitarrata ben assestata e arrangiamenti sempre curati. Però il totale del songwriting lascia emergere poche canzoni convincenti. “Three Sides of One” è un album al quale manca nerbo ed è la conseguenza dell’atavica voglia della band di osare a scrivere possibili hit e con un approccio rivolto, giustamente, ai suoi anni d’oro.
(Alberto Vitale) Voto: 6/10