(Nuclear Blast) Gli dei della violenza sono i Kreator. I tedeschi hanno da sempre posto al centro di molti dei loro discorsi testuali e non meno di quelli iconografici, proprio la violenza. Dopo oltre trent’anni ecco dunque un album che in una certa misura celebra nel titolo questo concetto estremo in modo diretto e palese. La parola violenza, si era intravista in forma di aggettivo nell’album “Violent Revolution”, oggi questa parola è il fulcro di un album che mette in mostra qualcosa di dirompente in fatto di stile, salvo per uno smaccato eccesso di melodie e scale di fattura melodic death metal alla maniera svedese e della vicina Finlandia. Il responsabile è certamente il bravo Sami Yli-Sirniö, chitarristra finlandese nella band da oltre tre lustri. In ogni caso il thrash di stampo teutonico è presente e probabilmente nell’opener “Apocalypotion / WorldWar Now”, i Kreator danno il via all’album con una delle loro migliori composizioni di sempre. La title track spacca le ossa, nonostante l’incipit molto Gothenburg sound, ma con un ritornello che glorifica il nome dei Kreator con una maestosità spesso mostrata nel corso della carriera e con un conseguente taglio maideniano nelle pieghe dell’assolo e dintorni. A conti fatti l’ascolto svela da subito una serie di soluzioni melodiche che rendono il materiale fuibile. I ritornelli scanditi e a tratti ossessivi di Mille Petrozza, i quali funzionano come una sorta di coro da guerra. Gli assoli sempre melodici, cristallini e non manchevoli di una certa tecnica fortemente metal. I Pattern ritmici sono dinamici e su questo vanno fatti i complimenti a Ventor. “Lion with Eagle Wings” sconfina nell’epica. A velocità ridotta potrebbe essere del buon power metal e non ci sarebbe nulla di eclatante in tutto questo, vista la costante ricerca sin dai tempi di “Endorama” in poi, di una melodia sempre più marcata e fissa nelle composizioni di Petrozza e compagni. Il punto è che questa volta i Kreator ci sono riusciti a essere immediatamente fruibili, il discorso, senz’altro personalistico di chi scrive sull’eccesso del melodic death metal fatto all’inizio, trova un suo giusto e naturale compimento in “Gods of Violence” dopo anni di tentativi nel camnbio di stile, ma almeno i Kreator non dimenticano di essere una band thrash metal e tra quelle che il genere lo hanno allevato.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10
(Nuclear Blast) Ammetto di non essere rimasto molto impressionato da “Phantom Antichrist”, penultimo album dei tedeschi Kreator. Con il tempo ho avuto modo di rivalutare alcune canzoni, ma mi ha sempre lasciato l’impressione che si trattasse di un lavoro riuscito solamente in parte, per via di una costante ricerca melodica che spesso finiva per stemperare un po’ troppo la furia distruttiva alla quale la band capitanata da Mille Petrozza ci aveva abituati, lasciando ad un fan incallito come me un po’ di amaro in bocca. Posso quindi affermare con soddisfazione che “Gods of Violence”, pur seguendo il percorso intrapreso con il precedente lavoro, riesce nell’intento di recuperare quella furia thrash, senza rinunciare minimamente alla ricerca melodica. Se da un lato lo stile dei Kreator resta inconfondibile (la voce di Mille rimane incazzata come sempre, il guitar riffing è tagliente ed incisivo e lo stile dietro le pelli di Ventor si riconosce immediatamente), dall’altro affiora una componente melodeath piuttosto spiccata, già presente sin dai tempi di “Violent Revolution”. La cosa sorprendente è che le due componenti coesistono e si integrano a meraviglia, cosa che non sempre riusciva, a mio avviso nel citato “Violent Revolution”. Ne è un esempio la title track, dove una intro di arpa (suonata dalla dodicenne Tekla-Li Wadensten) lascia presto il posto ad un riffing serrato ed assassino, che richiama le sonorità di “Coma of Souls”, mentre il ritornello è anthemico, da gridare a squarciagola in sede live. Altri ospiti in questo lavoro sono gli italiani Fleshgod Apocalypse, che si occupano di alcune parti orchestrali presenti in ben quattro brani. Si tratta comunque di parti che non vanno ad inficiare l’impatto dei brani, che anzi beneficiano dell’enfasi donata da questi inserti. “Fallen Brother” ci riporta alle ritmiche groovy di “Outcast”, cadenzate e caratterizzate da un gran lavoro in fase armonica. La conclusiva “Death Becomes My Light” dura quasi otto minuti, che scorrono in un battibaleno, tra cavalcate epiche, parti acustiche ed accelerazioni repentine. Un album decisamente ispirato, coerente con lo stile Kreator, una band che non ha paura di osare, alzando l’asticella della sperimentazione ad ogni uscita discografica, senza per questo snaturare un sound ormai consolidato.
(Matteo Piotto) Voto: 8,5/10