(Prophecy Productions) Forse la diversa provenienza li rende meno noti, ma il trio olandese Laster -qui al quarto capitolo- mi ricorda una sola ed unica band… o per meglio dire la versione psicotica e tossica dei una sola ed unica band: i Vulture Industries! Ecco fatto: se è impossibile classificare la musica dei Laster o collocarla in una determinata sezione degli scaffali del negozio di dischi (i pochi rimasti), ecco che il paragone con la band norvegese mette un po’ le cose a posto. Ma la finiamo qui? Beh no… perché la scelta del confronto è solo la strada più facile per collocare più o meno da qualche parte dentro la vostra immaginazione lo stile della band… il quale partendo da un totale libertinaggio stilistico, una completa ed assoluta negazione di regole e confini, arriva a forgiare questi dieci brani impattanti, ricchi di groove, con linee di basso carnali, voci prive di senno e ritmiche piene di fretta, di ansia, di nervosismo isterico. Black metal? A iosa. Rock alternativo? Certo, pure progressivo, neo jazz o avant garde o come preferite chiamarlo… tanto ai Lester non frega nulla, no, loro vanno avanti… ti snocciolano una canzone, credi di averli inquadrati… ma loro non aspettano nemmeno il prossimo brano per affrettarsi a confonderti le idee e farti capire l’unica cosa che puoi veramente comprendere è… niente! E via con black, post black, indie, jazzy moderno, blues di qualche epoca, shoegaze tutto loro… sembra quasi le il trio sfidi l’ascoltatore ad indovinare o, addirittura, ad inventare nuove fantasiose definizioni… il tutto dentro turbinii sonori avvolgenti, provocanti, maledettamente coinvolgenti e, diamine, esageratemente piacevoli. Tre umanoidi che si nascondono dietro maschere post-tribali, confezionando un album ricco di elettricità statica… anch’esso nascosto da una copertina che incanta… ipnotizza, stuzzica introducendo a questa favolosa pazzia sonora.
(Luca Zakk) Voto: 9/10