(SubsoundRecords/Narcotica Publishing) Musicisti che suonano. Improvvisano. Si abbandonano. E nessun vocalist. A cosa serve il singer, poi, se la tua musica parla (o canta?) da sola? L’Ira Del Baccano debutta con un album registrato in studio (il precedente era live) ed offre un percorso musicale immenso, totalmente stumentale. Quasi un’ora di musica fantastica dichiaratamente ispirata ai Black Sabbath, agli Hawkwind, ai Pink Floys, al rock psichedelico, al prog rock. Ed è quest’ultimo genere che racchiude tutte le divagazioni, le deviazioni che vengono costruite motivo dopo motivo, riff dopo riff, dentro le contorte trame di “Terra 42”. I suoni sensuali ma dannatamente heavy, assurdamente spaziali, si dividono in tre fasi, su una struttura a capitoli di sei tracce, tutte lunghe, lunghissime, arrivando a passare i dieci minuti, raggiungendo anche il quarto d’ora. Ma la misurazione temporale è un dato secondario, di nessuna importanza: queste canzoni sono dei discorsi profondi, delle poesie attraenti, delle scenografie complete… ambienti nei quali l’ascoltatore si perde, un po’ facendosi trasportare dalle evoluzioni, un po’ ricercando lo strumento o il motivo preferito, un po’ immergendosi completamente in questa dimensione sonora senza confini, senza inizi, senza alcuna fine. La band è composta da quattro musicisti, due che si occupano di chitarre e synth, mentre gli altri due creano delle indistruttibili fondamenta di basso e batteria. Cosa emerge? Cosa sono i pezzi? Domanda strana. “Terra 42” va ascoltato in una unica soluzione continuativa, senza domande, perché tanto non ci saranno risposte. Anzi… l’album provoca altre domande piacevoli: quale stile? Quale genere? Quale ispirazione? Quale ambientazione? Ci sono dei suggerimenti: la opener, divisa in tre capitoli, “The Infinite Improbability Drive Part 1-2-3”, ovvero la fase uno, ispirata a la “Guida Galattica Per Gli Autostoppisti” di Douglas Adams, è una album a parte, forse un EP dentro l’album. Con la sua mezzora abbondante continua a disegnare cose incomprensibili su una tela che è l’universo, con una tavolozza che è la mente umana. Cose che vengono disegnate e poi cancellate. Eterno nuovo inizio. Un riff che se ne va e poi torna. Sempre. Un riff che viene annientato da altri riff poderosi, da fantastiche teorie spaziali alla Hawkwind, con una costante improvvisazione che esalta le capacità artistiche di ognuno dei quattro musicisti. La seconda fase, “Sussurri…Nel Bosco Di Diana”, divisa in due capitoli, è ancora musica dispersa nel cosmo, ma con una impronta prog stupefacente. I musicisti sono geniali, ma in questa doppia traccia c’è un basso semplicemente da orgasmo! Le linee suonate sono di un calore sonoro stupendo, una intensità di performance meravigliosa, una resa dinamica eccellente accentuata anche dall’ottima produzione. La conclusiva terza fase, ovvero “Volcano x13 ”, è ancora forte emozione. Lunga, lunghissima, sembra essere musica eterna, un eternità piena di carica, di potenza, di energia, un’eternità elettrizzante. Ancora una volta le linee di basso sono superbe, mentre il riffing delle chitarre vuole essere violento, aggressivo, spietato. E poi ancora spazio senza confini, atmosfere piene di ansia e nervosismo, percorio contorti, percorsi sconnessi, tra rock e spazio, attraverso improvvisazione e divagazione. Poi all’improvviso un lungo accordo distorto sfuma via, fade out dell’intero viaggio, dell’intero album, capolinea, stazione finale, terminale. Un silenzio. Un silenzio che assorda, disturba, sconvolge, un silenzio iracondo che fa molto… baccano. Serve ricominciare. Viaggiare di nuovo. Dalla prima all’ultima fase. In un ciclo infinito.
(Luca Zakk) Voto: 9/10