(Church Within Records) Morte. Unico epilogo che unisce ogni essere di questo marcio pianeta. Presto o tardi, indipendentemente da cosa uno faccia nella vita terrena, la fine arriva puntuale. La trasformazione in una sostanza marcia. E poi polvere. E se questa morte potessimo osservarla come improbabili spettatori da una dimensione eterna, se questa morte fosse una sorta di cortometraggio assurdo ed infernale, la colonna sonora che accompagnerebbe gli ultimi istanti di linfa vitale, gli ultimi respiri, gli ultimi secondi di una agonia liberatoria, sarebbe senza dubbio questo “Green Vapour”, devastante omelia degli Svizzeri Lord Of The Grave. Un album maledetto. Tetro. Un album che conduce solo alla morte. Oltre la morte. Riff ipnotici caratterizzati da un suono indecentemente sporco, elettrico, una versione corrotta dei Black Sabbath. Rock’n’roll reso lugubre. Sinistro. Inospitale. E’ il secondo sermone per questa band con l’infame etichetta tedesca specializzata in doom. E proprio di doom estremo stiamo parlando. “Green Vapour” è quanto più lontano da atmosfere allegre e luminose ci sia in circolazione. Una produzione dannatamente underground, perfetta per le sensazioni che devono emergere dall’ascolto di questi tre quarti d’ora, divisi in sole cinque canzoni, le quali non durano mai sotto i sei minuti, con l’eccesso brutale degli oltre quindici minuti della opener “Raping Zombies”. Una opener imponente, che mette a dura prova l’ascoltatore con una progressione assurda: ritmi pesanti, estremamente doom, che evolvono verso un blues totalmente bastardo, troppo elettrico, troppo distorto, una assoluta goduria, un banchetto di distorsione sporca. Oscurità impenetrabile e decadenza eterna. Il pezzo continua la sua evoluzione verso un’ulteriore eccesso di doom, lento, angosciante, prima di dare spazio alla seguente title track. Introdotta da un accenno di riposo, di speranza, di sensazioni pacifiche, la canzone decade lentamente in ritmi tremendamente opachi, dove gli accordi delle chitarre si fondono gli uni con gli altri per merito della distorsione perversa scelta dalla band per questo album. Scariche elettriche che devastano l’armonia delle note, producendo qualcosa che può essere considerato il suono, se esiste, del momento del decesso. La seguente “Horsepuncher”, nonostante sia arricchita da suoni dal sapore vintage, dotata di una melodia diffusa, offre l’evoluzione della distorsione, dove anche la batteria sembra essere divorata da un’amplificazione mostruosa che vive di vita propria e si nutre di musica, di strumenti, di carne umana. Di vita. Il finale del disco trascina lentamente verso un pezzo di assoluta qualità intitolato “00/15” dove, anche dal punto di vista vocale, l’influenza della maestria di Iommi & Co si fa sentire, mantenendo comunque una spiccata originalità e quella sensazione di decesso di ogni speranza. Introdotto da una copertina in perfetta linea con il suono, questo disco è assolutamente essenziale nella scena doom estrema. La sua ritmica che toglie il respiro, i suoi suoni fastidiosi, e le sue influenze doom-blues sono un capolavoro di decadenza. Una spirale discendente verso gli inferi, verso la negazione di un qualsiasi concetto di vita: sia essa terrena o ultra terrena.
(Luca Zakk) Voto: 8/10