(The Church Within Records) Doom supremo con un peso sonico devastante, incisivo, avvolgente. Quarto album per la creatura che vede un poderoso e geniale Kimi Kärki, ovvero Peter Vicar dei compianti Reverend Bizarre, iniettare nell’etere un doom decadente, pesante come un macigno, costruito su tempi marziali, riff laceranti, accordi ruvidi e graffianti che si protraggono per diverse battute. “The Black Powder” è diretto, immediato ed affascinate, ma anche egoista, avido ed esigente: un album che impone ascolto, che esige asgolto, che vuole essere ascoltato, che continua ad invitare -e subdolamente costringe- al prossimo ascolto. Rispetto al precedente “Gates Of Flesh” (recensione qui), il nuovo lavoro dura quasi il doppio (70 minuti!) ma nonostante le rimiche pungenti scorre veloce, impetuoso, con un flusso di note decadenti e di accordi così discendenti da avvicinarsi agli abissi. Un album avvincente, entusiasmante, eccitante! I brani spaziano dal doom pesante, al doom melodico (esaltanti gli assoli di chitarra o i brevi licks che emergono di tanto in tanto), fino al doom atmosferico. Brani che si spingono anche verso tempi accelerati tornando comunque sempre a quei riff macilenti, maleodoranti, sulfurei, incisivi, oppressivi ed infinitamente pessimistici. Chritus (Christian Linderson, ex Saint Vitus, ex Count Raven ed ex Goatess) regala ancora una volta una performance vocale esaltante, con il timbro della voce sempre oscenamente brillante ma sensualmente malinconico, disfattista, nichilista. Oscura ed intima “Sulphur, Charcoal and Saltpetre”, un brano che nella sua durata superiore al quarto d’ora introduce l’album, sferza colpi micidiali con un doom oppressivo, divaga su eccitanti riffing settantiani, per poi evolvere a melodie uggiose supportate da altri riff granitici, sfumando atmosfericamente con chitarra acustica e singing ipnotico. Capolavoro assoluto “Descent”: il riff doom per eccellenza, un fardello sonoro eccitante, sferzato da melodie curate e da linee vocali micidiali, con Chritus che supera se stesso a livello teatrale, specialmente in occasione del penetrante ritornello. Sferzate di rovente metallo con accordi di eterna durata nell’ossessiva di “World Encircled”, brano dal riffing assoluto esaltato da una chitarra solista dannatamente divina. Sferzate energetiche, sostenute e rockeggianti con “Levitation”, assalto sonoro con “The Temple in the Bedrock”, principi di schizofrenia malata su “Black Lines”. “Impact” è … impattante… con un groove punkeggiante maldetto. Tetra e dolcissima, infinitamente atrabile “Nightmare”, prima della lunga conclusiva ed introspettiva “A Second Chance”. Un inno al doom, quello vero, quello puro, quello tagliente. Un inno al riffing lento ed appuntito, tagliente, perforante… un trionfo dell’headbanging, una liturgia melodica sopraffina dai provocanti dettagli progressivi. Doom che offre spazio ad accecanti ed occasionali bagliori votivi che fendono, con prepotenza mista a timidezza, uno strato di nebbie fitte, opprimenti, nefaste in grado di assorbire la luce accompagnandola romanticamente verso i suoi ultimi istanti di vita.
(Luca Zakk) Voto: 9/10