(Alive) Lo so, sono l’ultima persona al mondo che dovrebbe recensire un album di apocalyptic black metal. Ma lasciatemi spiegare! Era probabilmente il 2006 quando, durante un periodo di lavoro in Germania, capitai a un piccolo festival chiamato Winterbreath. L’evento era organizzato ‘alla tedesca’, quindi con band di ogni tipo e genere: prima di godermi un po’ di power (probabilmente suonavano i Winterstorm), in scaletta leggo che ci sono gli a me sconosciuti Lyfthrasyr, e decido di restare a vederli. Beh, lo show di Aggreash e compagni fu per me qualcosa di destabilizzante: una tempesta in musica come mai avevo ascoltato, caratterizzata da un approccio totale ed ‘estremo’ nel senso stretto del termine, che mi spinse ad acquistare sul posto il debut “The Final Resurrection”… a tutt’oggi l’unico disco black metal della mia collezione! Non posso certo dire di aver seguito la carriera della band, ma oggi che è arrivato in redazione il terzo capitolo della loro discografia, non me lo sono certo lasciato sfuggire! E posso affermare con certezza, pur senza essere un esperto, che questo album supera di diverse lunghezze l’uscita del 2005, e rappresenta musicalmente un punto di non ritorno per la capacità di osare di questo ‘electronically infiltrated black metal’. Anche questo disco è ossessionato (non c’è altro termine) dalla ricerca dell’immortalità, e può essere visto come una sorta di concept sulle possibilità di sopravvivenza della nostra mente ma anche del nostro corpo, che Aggreash non immagina ‘semplicemente’ legate a uno storage informatico dei nostri pensieri (leggere le lyrics per credere)… La cosa sorprendente della opener “The New Era of Immortality” è che la sua furia devastata riesce comunque a salvare la melodia; il drumming di Nefastus è preciso e assassino, ed è giunto a ricordarmi le capacità di Kai Lehto. E che dire dello stile vocale di Aggreash, che passa dal sussurro filtrato a un growling abissale e articolato? Le strofe pesantissime, stoppate, piene di blast beats di “Evolution” sono il contrappunto perfetto al pianoforte maligno ma allo stesso tempo malinconico di “Mind Simulator”; e mentre una elettronica satanica e smisurata domina “Wisdom in the Loop”, la conclusiva “Life Overdose” è un mid-tempo sofferto con esplosioni di rabbia cieca. “The enginereed Flesh” ha tutto: una musicalità devastante, un songwriting corposo, dei testi ai limiti della follia eppure lucidi fino alle minuzie e coerenti nelle loro implicazioni. E se anche un black così estremo e moderno non fosse nelle vostre corde… beh, pensate che questo disco è piaciuto a un vecchio defender come me!!!
(Renato de Filippis) Voto: 8,5/10