(Steamhammer / SPV) Da tempo i Magnum ci hanno abituato a una pubblicazione che casca ogni due anni. Pur tenendosi a un livello di tutto rispetto, la band britannica è ormai uno standard, cioè un qualcosa che presenta un livello qualitativo fisso e tenuto insieme da un manipolo di musicisti aggraziati e sapienti. La qualità delle canzoni che in certi casi sono nell’ordinario della band, arrivano ad essere anche di un certo pregio. Quanto scritto è un riconoscere il valore dei Magnum che proprio per la prevedibile pubblicazione biennale potrebbe alimentare qualche scetticismo e inflazionare il buon nome di Bob Catley, voce, Tony Clarkin, chitarra, e dei loro soci con qualcosa di scontato. Anche questa volta l’album dei Magnum si ascolta con piacere. Dieci canzoni e quella preposta ad aprire l’album è “Run Into The Shadows”, cioè una delle tre che superano i cinque minuti di durata. Le altre infatti si assestano sui poco più dei quattro minuti, però la conclusiva “Borderline” si concede circa sei minuti e mezzo di durata. La successiva title track è semplicemente bellissima. Uno stile molto anni ’70 che rievoca scenari folk e vagamente psych rock, un ritmo semplice ma conturbante, una chitarra che lacera l’atmosfera tra il sognante e il ricordo e un ritornello che esplode nella sua carezzevole liricità. La band di Birmingham, nata nel 1972 ma al suo primo vero album solo sei anni dopo, non ha mai scrollato dal proprio DNA quel tocco seventies e pur senza abusarne. Di fatto negli anni ’80 dei Magnum si poteva parlare di una tipica band AOR. Si vorrebbe evitare un track by track, anche per via della buona qualità dei pezzi e anche raggruppandoli in insiemi che sottolineano la tipica appartenenza a un marchio di fabbrica degli inglesi, oppure all’essere un prototipo di hard rock d’altri tempi, l’imponente “Blue Tango”, o dalle caratteristiche solite dell’AOR, come “After The Silence” oppure “I Wanna Live”. Bob Catley c’è, con la sua voce vissuta ma sempre centrata e intonata, al massimo pathos poi in “Broken City. La già citata “Borderline” mette in risalto un suonare genuinamente rock con arricchimenti dei synth che allargano l’ampiezza del pezzo, pur non volendo parlare di prog, cosa che avviene anche in “The Seventh Darkness”. La linea viene dunque tirata: i soliti e abili artigiani delle canzoni che sanno essere i Magnum. Ancora una volta con una copertina delle loro. Anzi del fiabesco artista Rodney Matthews.
(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10