(Century Media) Il trionfo della coerenza. Continua all’insegna della qualità la storia dei Malevolent Creation, band che inspiegabilmente ha raccolto decisamente meno di quanto seminato, guadagnandosi il rispetto di tutti gli amanti del death metal senza, tuttavia riscuotere la popolarità di altri gruppi, come i connazionali Cannibal Corpse. Incuranti di ciò, l’ensemble guidato da sempre dal chitarrista Phil Fasciana, continua ad inanellare dischi qualitativamente superiori alla media senza cedere a tentazioni commerciali, ammodernamenti del proprio sound o ammorbidimenti vari, continuando orgogliosamente per la propria strada. Death metal old style, brutale, tecnico e potente, suonato con l’entusiasmo dei ragazzini e la maestria dei capiscuola del genere, “Dead Man’s Path” si colloca idealmente tra la furia devastante di “The Will To Kill” ed i passaggi intricati presenti nel (secondo me) capolavoro “Stillborn”. Non a caso, come bonus tracks troviamo “Carnivorous Misgivings” e “Dominated Resurgency”, entrambe tratte dal terzo lavoro del gruppo, datato 1993, rese ancora più devastanti dalla produzione attuale (L’album è prodotto dalla band e mixato dall’esperto Dan Swano). La title track è una sorta di lunga intro, aperta da un arpeggio acustico che cede presto il posto ad un riff lento e soffocante dal sapore doom, con una voce dapprima narrante, poi in growling. Nonostante i quasi cinque minuti di durata, il brano è, come detto una specie di intro che esula totalmente dal resto del platter. Tocca, infatti a “Soul Razer” aprire le ostilità, grazie ad un riffing veloce sorretto dal drumming devastante di Justin Pinto, un’autentica macchina da guerra dietro le pelli, mentre la voce di Bret Hoffmann è indiavolata come non mai, grazie ad un growling meno profondo rispetto al passato, ma più tagliente e maligno. “Imperium” raggiunge folli velocità, con chitarre lanciate ai 300 km orari e blast beats apocalittici. La seconda parte del pezzo è dominata da grandi assoli, tecnici e melodici, mentre il riffing rallenta, sostenuto comunque da un drumming in doppia cassa, prima del colpo di grazia inferto dall’accelerazione finale. L’abilità principale dei Malevolent Creation è proprio quella di inserire stacchi e rallentamenti adatti a spezzare il ritmo spezza ossa che domina gran parte delle canzoni, evitando così il rischio di risultare monotoni o ripetitivi; uno schema usato da molte altre bands, ma poche di queste hanno saputo utilizzarlo con la maestria del combo Newyorkese. Ne è un esempio “Blood Of The Fallen”, uno dei brani più feroci del lotto, spezzato da un break centrale più cadenzato. Un album deliziosamente old school, ad opera di una delle bands più coerenti ed incorruttibili del genere, che dimostra di essere in perfetta forma dopo ben ventiquattro anni di onorata carriera.
(Matteo Piotto) Voto: 9,5/10