(Epictural Production) Una dimensione glaciale e psicotica, complessa e tenebrosa quella tinta dai Mallephyr. Il terzo album della band è “Ruins Of Inner Composure” e svela un manipolo di musicisti dediti a un blackened death metal tirato all’estremo, con atmosfere appunto oscure e con quelle chitarre che hanno lineamenti dissonanti, tali da creare melodie e ambientazioni psicotiche. Una maglia di riff complessa quanto invasata e furiosa è l’arte della band della Repubblica Ceca che si manifesta con forza smisurata, suonando pezzi con scatti continui, sorretti da questo devastante drumming di Tom. Tra le maglie dei brani momenti in cui si abbassano appena i giri del motore e le chitarre sprigionano melodie laceranti, affilate, oppure sono autrici di quelle atmosfere vagamente Blut Aus Nord. Non si limitano a pestare sull’acceleratore Opal, Adam, le due chitarre con il primo alla voce, e Jan, basso, ma in questi terremoti sussultanti nell’oscurità, creano sospensioni limitate per ambientazioni degnamente black metal. Proprio il black metal emerge spesso nelle furiose cavalcate dei Mallephyr, risultando meno schematico del previsto. La band tiene alta la tensione nell’arco dell’album, le sezioni meno irruente emergono efficacemente perché tagliano fuori quella tensione che si respira dall’iniziale “Contaminated Tongues Embracing The Lifeless Sculpture”. “When Death Is Light At The End Of The Tunnel” arriva a oltre tredici minuti di durata, con una suggestiva apertura in low-mid tempo e poi un crescendo nel quale le chitarre fulminano con la loro dissonanza lacerante, per quello che poi si rivela un pezzo alquanto articolato. La peculiarità dei Mallephyr è certamente questa sensazione d’onda d’urto che comunicano ma in essa si avvertono quei lampi tenebrosi e melodicamente incisivi.
(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10