(Rising Force Records) E’ molto difficile recensire, quindi giudicare, sua santità Yngwie J. Malmsteen. Lo confesso, la mia professionalità traballa, cede, per il semplice fatto che ho sempre adorato la sua musica, la sua maestria, la sua velocità, le sue immense capacità artistiche. E fintantoché propone i suoi arpeggi impossibili, i suoi assoli caratterizzati da velocità sovrumane, allora io faccio fatica ad essere obiettivo. Però ci provo. Sapete, credo Malmsteen abbia un problema. Uno molto grave. Il problema consiste nel fatto che è praticamente impossibile suonare meglio di … Malmsteen. E credo ne abbia un altro: rimanendo sul genere heavy/hard rock, con quel feeling blues, allora è impossibile scrivere un album nuovo, diverso, innovativo. E’ impossibile per il semplice fatto che lo ha già fatto lui. Questo porta alla conseguenza che l’album è stupendo, ma, ovviamente, propone ben poche novità, come se le tredici canzoni facessero parte di un album più vasto che include tutta la produzione dell’ultimo decennio (o più) della sua carriera. Tuttavia, una canzone come la opener e title track, i miei sensi recettori la trovano geniale. Veloce, potente, irresistibile. “High Compression Figure” è “un altro” tipico pezzo di Yngwie, e ricorda molto la stupenda “Amber Dawn” di “Magnum Opus”. Però la melodia rapisce, mi rapisce, ed i suoi fraseggi non possono non catturare la mia mente, facendomi viaggiare verso quello stato di sospensione tra realtà e sogno che pochi artisti, Malmsteen tra questi, sono in grado di offrirmi. L’album è quasi tutto strumentale. La cosa mi piace molto, in quanto ci sono diversi album che avrebbero potuto stare senza microfono, specialmente quelli con Tim “Ripper” Owens, che non mi va proprio a genio. Gli unici tre pezzi cantanti, propongono la voce di Malmsteen stesso. Ovviamente non stiamo parlando di Doogie White o Mark Boals, ma la performance vocale del chitarrista non è poi male, specialmente quando le onde sonore convergono verso il blues, genere che lui adora, come dichiarò alla clinic che tenne nel 2010 in un castello in Veneto (alla quale ero presente!). “Majestic 12 Suite 1,2 & 3” è il classico pezzo epico, con inserti orchestrali, un segno distintivo, dove la chitarra acustica riesce a far sognare ancora una volta. “Nasca Lines” è malinconica. “Gods Of War” è trionfante. “Iron Blues” è un blues come un blues deve essere; non importa se non è nuovo, innovativo, o particolare. Si tratta di dannato blues, ed il blues è sensazioni, emozioni. Il blues di Malmsteen è tutto questo, ma con quella maledetta chitarra, con quegli assoli che solo lui sa fare. Un pezzo che eccita, ascoltatelo in cuffia, inarcherete la schiena mentre siete seduti sulla poltrona quando l’assolo si esprime al suo massimo livello, quasi un orgasmo sonoro. “Turbo Amadeus” è un po’ un collage di cose già sentite, ma che non mi stanco di ascoltare. Alcuni diranno che è “un altro” album fotocopia di Malmsteen. Io dico che ha fatto talmente tanto che può permettersi di fare un po’ quel che gli pare. Tanto per divertirsi. Un po’ come quando noi poveri mortali prendiamo la chitarra (io il basso) e ci mettiamo a strimpellare quella canzone che ci piace di più. Lo fa anche lui, attingendo dal suo repertorio. Direi che non è roba per tutti. La conclusiva “Requiem For The Lost Souls“ è il suo arrivederci. Caratterizzata da un’emozionale chitarra che lascia spazio a delle bellissime pause, quasi a sostituire degli accenti, quasi lasciando intuire, anziché esprimersi. Certo. Anche questo è un tipico pezzo di Malmsteen. Con i suoi tipici assoli. Con i suoi soliti fraseggi. Io dico che è un album. Godetevelo per quello che è. Da solo. Ignorate cosa è stato o cosa sarà. Si tratta ancora una volta di un esempio chiaro dell’abilità del chitarrista svedese. E della sua velocità. Lui, a quella clinic, lo disse chiaramente. Disse che gli interessa solo essere il più veloce. Ci è sempre riuscito. E questo “Spellbound” offre una produzione perfetta, che permette di godere ogni singola velocissima nota dei suoi virtuosismi. Godetevelo. E’ un dio, ma è mortale. E, permettetemi, non è ancora nato il suo sostituto.
(Luca Zakk) Voto: 8/10