(Blade Setter Records) Suoni netti, pieni e nitidi, tali per l’ascoltatore da assorbire in pieno l’essenza di questo trio sludge-doom metal dell’Arkansas giunto al secondo album, dopo il precedente debut dello scorso anno, ascoltabile QUI. “Frostbitten Galaxy” presenta quel muro sonoro spesso, groovy e potente, secondo i dettami dello sludge unito con cadenze funeree e decadenti tipiche del doom. Suono robusto con una batteria lenta ma potente e un basso che si instaura tra la linea della chitarra e il cantato. Un’accumulazione dei suoni che avviene con un buon bilanciamento, portando in scena questo andamento tra fasi lisergiche e avanzate pesanti e a tratti monolitiche. Brandon Ringo, basso e voce, canta in questo tono oscuro che va dal semi-growl al più essenziale urlare che calza bene nelle atmosfere dei Mammoth Caravan. A queste contribuisce anche qualche sintetizzatore, usato dal chitarrista Robert Warner, i quali poi rendono più stuzzicanti le fasi sommesse, psichedeliche e oniriche. Spesso queste coincidono anche con l’incipit dei pezzi. Khetner Howton, batterista, in specifiche situazioni colpisce i componenti del suo strumento in maniera tribale. Essenziali nelle strutture, i Mammoth Caravan si mostrano ispirati e con dosi di visionarietà, come in “Cosmic Clairvoyance”, oppure padroni di un suonare irruento ma gestendolo con sapienza come in “Prehistoric Spacefarer” oppure “Tusks of Orion”. Stupefacenti nella conclusiva “Sky Burial”: voce pulita, tre quarti della canzone sommessa ed eterea, conclusione con distorsioni, voce pulita e growl insieme e un’epica che monta alle stelle, insieme a un assolo di chitarra.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10