(Blues Funeral Recordings) I Mammoth Volume toccano certe vette con “Raised Up By Witches” e attraverso un’iniezione di personalismo nella musica. Seppure con un tocco stoner e grunge, avvertibile nell’opener “The Battle Of Lightwedge”, i Mammoth Volume si pongono in “Raised Up By Witches” con quel clima settantiano che abbraccia qualcosa del prog, acid rock e dunque forme libere di esistenza della musica. I loro suoni sono densi, pieni ma levigati, hanno carattere e Jörgen Andersson alla voce si destreggia con un suo timbro e capacità di interpretazione per nulla secondari. Esistono in “Raised Up By Witches” brevi frammenti formali riconducibili ai Motorpsycho e comunque a un’idea del prog e hard rock dei seventies che girovaga nelle menti di molti scandinavi da diversi anni ormai. L’ album ha una sua vastità strutturale, forse abbondante, con una pacata personalità deducibile dalle melodie che spuntano da fasi elettriche, acustiche, calme o maestose che possano essere. I Mammoth Volume manifestano quella disinvoltura nell’evitare indugi nella tradizione sabbathiana, infatti è la sola “Diablo III – Faces in the Water” a risentirne in maniera importante, ma nel resto si assiste a intrecci nei quali la chitarra cavalca temi e linee melodiche sospinte da una base ritmica che si consolida su un carattere di tipo stoner. Daniel Gustafsson è alla sei corde, tastiere, aiuta col basso e si lancia nel flauto, mentre Nicklas Andersson suona la batteria e qualche parte di basso, strumento che abitualmente è di Kalle Berlin. Il chitarrista e il batterista supportano nei cori il frontman Jörgen Andersson. Quello dei Mammoth Volume è un rock garbato, misurato in più momenti, come in “Lisa” e “Scissor Bliss”. La band sceglie di eseguire canzoni sia brevi che con minutaggi importanti e in tre quarti d’ora esibisce un connubio tra pop rock e hard rock anni ’70, con uno stoner ampio e fasi sperimentali dove però capita che la bussola venga smarrita, aprendo il fluire delle trame melodiche a sezioni nelle quali gli svedesi indugiano troppo su parti che sembrano nenie stiracchiate come nell’ultima composizione “Sången Om Ymer”.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10