(Metal Blade Records) È punk, è black, è metal… ma anche blues, jazz, libertinaggio sonoro totale, tanto che a volte sembra un avanzo di roba a-là Beastie Boys. Questo sound, poi, è talmente sfacciato che pure la registrazione è stata fatta dal vivo, in studio, questo per iniettare tanta vita dentro un album ad ampio raggio, sempre incalzante, sempre esplosivo, tellurico, instabile… con bravi brevi e diretti (sono 12, e il disco dura poco più di mezz’ora!), pezzi che non hanno tempo da perdere, canzoni che vogliono usare tutto il tempo a loro concesso per prendere a schiaffi l’ascoltatore. Se in passato i Mantar offrivano registrazioni elaborate, con un suono pulito e raffinato… ecco che ora mandano affanculo tutto ciò ceh fi, vomitandoci addosso un album maledettamente grezzo, a tratti dissonante, probabilmente pure in grado di far storcere alcuni nasi! Ma, dopotutto, al loro frega qualcosa? Non sembra! “Absolute Ghost” è ribelle, ”Principle of Command” ama le tenebre, “Dogma Down” ha intenzioni poco amichevoli. L’essenza death-punk si intensifica con “Morbid Vocation”, per poi esplodere con “Halsgericht”. Diretta e poco gentile “Church of Suck”, introspettiva “Two Choices of Eternity”, provocante “Face of Torture”, minacciosa la conclusiva “Cosmic Abortion”. Un album che tramortisce, al quale non interessa alimentare dialoghi acculturati, che non ama fa discutere, che non suggerisce molto altro da dire, evitano di offrire interessanti spunti di riflessione; con “Post Apocalyptic Depression” l’unica reazione lecita è l’urlo, l’urlo disperato, magari supportato da tutti pugni e i calci necessari per buttar giù quella fottuta porta chiusa, quel varco che ci impedisce di guardare oltre, verso un mondo più positivo, un mondo migliore!
(Luca Zakk) Voto: 7/10