(PT78 Records) Gli olandesi Martyr fanno parte della storia, la storia del metal che veniva anche chiamato ‘speed metal’, ben prima del proliferare delle miriadi di definizioni le quali forse altro non fanno che creare confusione. Per qualche motivo non sono mai stati costantemente prolifici: due dischi negli anni ottanta, la presenza nella compilation “Dutch Steel” della Roadrunner, poi un altro paio nel secondo decennio del nuovo millennio, vari tour con Manilla Road, Lizzy Borden, Saxon, Iced Earth e Trivium… finendo più volte sui palchi giapponesi; ed ora, nell’ulteriore decennio di questo disastroso nuovo millennio eccoli tornare con questo lavoro dal titolo dannatamente esplicito, forte e chiaro! I Martyr, poi, sono unici: con una carriera così irregolare riescono ad essere contemporaneamente noti e sconosciuti… tanto che il nuovo disco riesce a suonare come fresco e tradizionale allo stesso tempo: la freschezza viene da sonorità all’apparenza nuove in quanto ormai non sono più comuni… e questo porta diritto alla componente tradizionale, grazie alla quale i meno giovani tra noi ricorderanno benissimo la poderosa potenza di fuoco della band olandese, alimentata da un songwriting assolutamente di prim’ordine, cosa valida tanto allora quanto oggi anche grazie alla costanza dei due elementi chiave originali, ovvero l’axe man Rick Bouwman e il vocalist Robert van Haren. Dieci pugni sui denti, dieci brani che amalgamano con irruenza e sublime nostalgia le sonorità thrash/speed degli anni ’80 e il metallo classico, citando principalmente Iron Maiden e Judas Priest. Gloriosa prima, scatenata poi “Raise Your Horns, Unite!”, un dannato inno al metallo che sembra essere stato composto e urlato nel microfono da una band di ragazzi ribelli della prima metà degli anni ’80… non certo da gente ultra cinquantenne! Si affacciano certi Judas Priest sulla guerrafondaia “Demon Hammer”, pezzo con un’epicità demoniaca, melodie favolose e taglienti, arrangiamenti vocali prepotenti e riffing spacca ossa che dopo metà brano si esaltano autoproclamandosi… mentre l’headbanging diventa legge marziale. Tellurica l’irresistibile “Children of the Night”… forse un brano poco tollerabile da vertebre non più giovanissime! C’è molto power metal in chiave thrash su “Fire of Rebellions”, oscura e doomy la quasi ballad “No Time for Goodbyes”, pezzo nel quale il vocalist e chitarrista riescono riservare sorprese non certo banali. Perfettamente in linea con il titolo il sound di “Metal Overdrive”, contorta, rabbiosa e sfacciata “La Diabla!”, travolgente “Diary of a Sinner”. In chiusura altre due frecce velenose: la teatralità, l’incalzare introspettivo e l’esplosività di “Church of Steel” seguita dalla conclusiva “Wings in a Darkened Soul” una canzone lenta, oscura, ricercata, ricca di sorprese e con un senso di malinconia suggestivo. Il quinto album in studio per una carriera che copre un totale di quaranta anni di storia: un album necessario, un album del quale abbiamo bisogno, specialmente noi che, quarant’anni fa, eravamo già in sulla transenna scuotendo la testa, sventolando la chioma… senza smartphone, senza navigatori che ti portano a quel buco di venue, senza eventi social che ti ricordano la data di un concerto che dovrebbe essere indimenticabile per definizione!
(Luca Zakk) Voto: 8/10