(Séance Records) Gli italiani Mascharat, al debutto, scatenano un album di black metal immenso. In una epoca di eccesso di produzione musicale, ovviamente è frequente la perdita in termini di identità, personalità, originalità, tanto che il black classico è ormai una costante ripetizione di se stesso e dei sui cliché. Un po’ questo è una fortuna, in quanto spinge all’evoluzione, alle varianti, alle cose con tocchi avant-garde capaci di mescolare diversi spunti dando vita a cose nuove. Un po’ è un problema, in quanto si perde la foga originale, l’essenza, la radice. Questo almeno fino ai Mascharat, i quali vomitano contro l’ascoltatore una tonnellata di odio, di divagazione rituale, di culto dall’effusivo odore di morte, rimanendo maledettamente legati a quel black metal marziale, costruito su sfuriate senza pietà e su mid tempo ossessivi, con dettagli melodici resi più epici dall’uso (moderato) delle tastiere e altri strumenti. Cantano in Italiano. Cantano in un provocante Francese. Offrono groove. Melodie catchy. Tremolo suggestivi. Il tutto senza mai allontanarsi da un profondo legame con le tenebre, con il lato proibito dell’essenza umana e non. La maschera (da cui il moniker) diventa un simbolo assoluto, una barriera tra la vita terrena e quella rituale, perversa, proibita, pregna di segreti indicibili, colpe infami, il tutto in un concetto di suprema filosofia oscura. Nove brani immensi, ben suonati, diretti, remotamente lo-fi, anche se registrati con perfezione assoluta, evoluzioni immense nel nome della melodia, esaltazione di ogni strumento, primario o secondario, il tutto dominato da un vocalist feroce e privo di umanità. Trionfi occulti con “Bauta”. Immensa “Médecin de Peste”, brano lunghissimo, teatrale, potente, possente e tetro fino alle negazione dell’esistenza della luce. Black d’altri tempi con “Mora” e “Simulacri”. Micidiale “Iniziazione”, un brano ancora una volta melodico, decisamente aggressivo, ma anche remotamente depressivo. Stupendo il rincorrersi di basso e batteria sulla tetra ed in un certo senso progressiva “Rito”. Un concept che si perde nell’euforia e nell’allegoria del carnevale Veneziano. Un concept dove il protagonista si scontra con dogmi religiosi, attraverso la finzione della maschera, verso il cammino che porta alla liberazione dal culto, verso la sapienza assoluta. Ma le maschere, per quanto lontane dalle regole, sono pur sempre umane e in quanto tali -esattamente come la religione- sono pregne di menzogna: liberano dall’ortodossia del culto, portano alla perdizione, ma non certamente alla conoscenza assoluta, ammesso e non concesso che questa esista in una dimensione umana. Portano alla dissolutezza. Ti allontano da false certezze ma ti abbandonano alla deriva in un mare di menzogne. Un carnevale indecente nel quale il proibito diventa lecito, il lecito diventa vergognoso, la quotidianità perde senso, il giorno si mescola con la notte, i giorni con le settimane, l’osceno con il puro. Il sacro con il deliziosamente profano.
(Luca Zakk) Voto: 9,5/10