(Ipecac Recordings) Essere davanti a tutti, sempre. I Melvins sono la tartaruga del paradosso di Zenone, sono la risata autoreferenziale e verso il mondo. I Melvins sono i Melvins. Per molti erano dei guru indisponenti del movimento grunge, ma anche “il lato metal del grunge”. I Melvins sono ciò che sono e questa volta per esserlo ancora Buzz Osborne e Dale Crover tirano dentro Mike Dill, batterista della formazione nei primi anni ’80. Di lui si ha testimonianza nella discografia della band in un EP e un singolo, Dillard ha suonato nei Fecal Matter, una delle prime band di Kurt Cobain. Dunque Crover passa al basso e Buzz si diverte come sempre a cantare e suonare la chitarra e fare anche d’altro, perché nei Melvins il suonare è qualcosa di vasto. Può essere metal, grunge, punk, diavolerie d’atmosfera, pseudo e allucinato folk-country e via dicendo. I Melvins sono passati attraverso canzoni impresentabili se fossero state eseguite da altre band, inaspettate, ma l’imprevedibilità è di casa. Ecco dunque lunghissime, brevi, cupe, allegre, canzonatorie. Un album dei Melvins può essere vasto come un romanzo. “Tres Cabrones” presenta dodici canzoni tali da riassumere buona parte del repertorio stilistico di Osborne e soci. “Psychodelic Haze” è una marcia metallosa su uno sfondo rumorista e psichdelico che non apre, ma sbatte le porte della percezione. Subito dopo ecco “99 Bottles of Beer”, perfetta per un cartone animato all’osteria. “Stick ‘Em Up Bitch” è uno street rock sfrontatissimo, selvaggio e “Dr. Mule” offre quelle tipiche elaborazioni di riff e cori che insieme sanno di claustrofobica schizofrenia. “American Cow” ha un passo sommesso: chitarra a singhiozzi, batteria che lavora come un diesel, un cantato corroso e alcolico. Un doom sballato, come sempre capita di ascoltare quando ci sono di mezzo i Melvins. Eppure Osborne ci tiene a precisare che hanno scritto nuove canzoni e senza pescare roba di trent’anni fa. I Melvins, sempre al passo con un anticonformismo simpatico!
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10