(Helter Skelter Productions / Regain Records) Sono ancora poco famosi gli argentini Mephistofeles, nonostante i quasi dieci anni di storia, in quanto hanno sempre vagato nei nefasti e fangosi meandri dell’underground; ma il loro sound riecheggia, è diventato in un certo senso iconico, di culto… tanto che dall’ultimo EP, “A Path of Black” (recensione qui) uscito nel 2020, è uscito un live album, un singolo e pure un esotico boxset! “Violent Theatre” è il loro nuovo album, il quarto, quasi con un titolo quasi innocente, specialmente se comparato con i precedenti (“Whore”, “( ( ( I ‘ M H E R O I N ) ) )” e “Satan Sex Ceremonies”. La copertina non è ai livelli del precedente porno serpentesco, e nemmeno del vintage porn del singolo, ma il livello di eresia esposto con quella qualità lo-fi è un qualcosa di maledettamente favoloso! Sempre tossici, sempre psichedelici nella pesantezza occulta del loro stoner/doom sporco, grezzo, volutamente fatto di acidi e di una miriade di altre sostanze meravigliosamente illegali. Ossessiva “Buried In Worms”, graffiante “Frustrated”, ottimo riffing heavy con “The Meaning Of All Evil” e “Chapel Sins”. Lenta e incisiva “Die In Vain”, favolosa la lunghissima “Communion Of The Vile”, con quel basso penetrante, seducente, ipnotico… verso quella divagazione verso una jam session surreale tanto surreale quanto geniale. Doom iper classico, sabbathiano, con “Last Will”, prima della conclusiva e favolosamente occulta “Damnation Or Salvation?”, un pezzo capace di vagare anche negli inferi di un sound settantiano. Attorno a linee vocali che godono di un livello di perversione degno del migliore Ozzy, in questo disco c’è molto fumo. Tanto fumo. Odore di zolfo. Puzza di morte. Di tomba. Di terra marcia. Pesanti sino ad un livello liturgico, rituale, deliziosamente satanico, con testi immensamente decadenti, capaci di annichilire ogni forma di sorriso, di gioia, di speranza.
(Luca Zakk) Voto: 8,5/10