(Nuclear Blast Records) Album numero 8 per i pazzi, di nome e di fatto (il loro nome è la parola che in ebraico significa appunto “folle”) Meshuggah, un gruppo capace per la cronaca di generare un nuovo genere musicale, il djent, fondendo stili estremi moderni e influenze Prog e tecnologiche. Un genere figlio dei tempi moderni, dove tecnocrazia e tecnologia la fanno da padroni in un mondo sempre più pazzo e veloce nei cambiamenti. L’ultima prova in studio, Koloss, era targata 2012, considerata da pubblico e critica come uno dei loro album migliori. Difficile quindi ripetersi con questo lavoro. Ed infatti dico subito che siamo distantini dai livelli raggiunti con l’opera precedente. I suoni sono Meshuggah al 100% fin dalle prime battute, ma ciò che mi ha colpito di più, seppur in negativo, è la semplicità delle composizioni. In altri ambiti avrei visto la cosa come un aspetto positivo, ma la considerazione non vale logicamente per i Meshuggah, che han fatto dell’intricato e del complicato uno stile di musica. I passaggi fuori dagli schemi e discrasici hanno lasciato il posto a melodie molto Prog si, ma pure anche un po’ Power. Non c’è traccia della genialità che ha contraddistinto i primi lavori, anche se va detto che l’album, valutato in senso assoluto, è comunque su livelli più che buoni. Non so, ma la sensazione è che i nostri si siano fermati per un momento a ricaricare le batterie per la prossima tempesta sonora. E questo album non è altro che un profondo respiro prima della tempesta. Curiosi.
(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 8/10