(Aural Music) L’oscurità diventa ancor più tetra, ma pericolosamente sensuale, assurdamente poetica, diabolicamente dissacrante. I Messa sono italiani e questo è “solo” il debutto: quasi un’ora di musica inquietante, oscura, eccitante, sensuale, ossessiva, provocante. E magnetica, subdolamente magnetica! Si sono formati solo due anni fa, mescolando influenze doom, black, ambient, psichedelico e hanno dato origine ad un sound personale, decadente, mortale, infernale… tutto questo senza ricorrere a nessun tipo di ritmica furiosa, cantato estremo o riff crudeli; anzi. Il contrario. La musica dei Messa è romantica, quasi dolce e forse quel “doom scarlatto” è proprio l’unica definizione che riesca ad evocare il significato artistico di un album come “Belfry”. Al microfono c’è Sara, una voce tetra, decadente, a tratti rock, ma costantemente meravigliosamente sensuale. “Belfry” in inglese significa campanile: già questo, a fianco del moniker, destabilizza, alimenta curiosità macabre, toglie certezze, inasprisce i grigi spingendoli verso l’assenza di colore assoluta. Poi c’è la copertina: il campanile semi sommerso del lago di Resia (Curon Venosta, provincia di Bolzano): la famosa località turistica vanta un soggetto abitualmente fotografato con colori brillanti, estati soleggiate, nel nome dello svago e dell’allegria tipiche di una località di villeggiatura… ma qui quel campanile è dipinto in bianco e nero, quasi se la foto fosse stata scattata il giorno stesso dell’allagamento, il giorno della fine di un paese, l’arresto di umane abitudini, di punti di riferimento, di tradizioni… case abbandonate, attività sospese, chiesa sommersa: La Messa è finita. L’album è un percorso al buio; dopo un lungo criptico intro, nel quale un basso iper distorto presenta all’ascoltatore una tela nera da dipingere con colori scuri, è “Babalon” a troneggiare. La canzone non offre alcun barlume di luce, ma risulta assurdamente catchy, tanto che io stesso fatico a capire come diavolo sia possibile che una cosa così lenta e mortale risulti impossibile da rimuovere dalla mente. La depressione magnetica di “Fårö” inietta nei meandri della melodia superlativa di “Hour Of The Wold”, nella quale Sara offre una performance sbalorditiva. La lunghissima “Blood” è un viaggio nell’incubo, nella paura: sempre lenta e pesante, si abbandona ad un doom più “metallico” ma anche a suoni diversi, ai fiati, ad un scolpire la paura con suoni sublimi ma privi di ogni collegamento con il mondo dei vivi. L’ambientale “Tomba” esalta il lato depressivo della vita, mentre “New Horns” offre riff possenti, diabolici, immensi. Maestoso l’ambient della quasi-title track “Bell Tower”, una percorso sonoro che scandisce la decadenza ritratta in copertina. “Outermost” torna al doom lento e tagliente integrando parentesi psichedeliche ed un assolo ipnotico prima della conclusiva “Confess”, un pezzo quasi in contro tendenza in quanto la voce di Sara presenta qualche rarefatto spiraglio di luce mentre una chitarra acustica scandisce un doom-country/blues di pregiata fattura ed infinita decadenza. Il lato tetro della vita e delle emozioni che i Messa riescono a materializzare è sorprendente, tanto che l’album deve essere ascoltato molte volte prima di generare una irreversibile dipendenza, un continuo richiamo mentale ai riff decadenti, al singing etereo sempre in equilibrio tra lo spirito e la carne, tra il terreno e l’aldilà. Tra il vivo. Ed il morto. Un doom superlativo reso “fruibile” da un’impostazione settantiana geniale ed una costante direzione verso un atmosferico, un dark ambientale. “Belfry” è la prova che la mente umana non può resistere all’attrazione proibita dell’oscurità, dell’ignoto, del perverso: tutte droghe della nostra natura senza le quali esiste solo l’orrore, una scia di violente crisi di astinenza che portano solamente alla generazione di ulteriore oscurità, ignoto, perversione.
(Luca Zakk) Voto: 9/10