(Nuclear Blast Records) «Arrivederci Al», conclusi così la recensione dell’ultimo album “From Beer to Eternity”, era il 2013 . Noi fan dei Ministry sappiamo bene che Al è uno strafottente burlone, dunque chi mai poteva credere che i Ministry fossero davvero finiti? Mike Scaccia passato a miglior vita, Paul Barker fuori dalla band da anni, qualcosa dentro Al Jourgensen forse si era rotto, o spento oppure lo ha semplicemente ‘scazzato’, ma di fatto all’epoca dichiara che i Ministry terminano la carriera. Ti resta l’amaro in bocca, anche perché dopo la serie di album devastanti, ma meno creativi del previsto, come “Rio Grande Blood” e “The Lust Sucker”, Al Jourgensen stava risalendo davvero la china della qualità. Dopo il fatale annuncio ecco il nuovo progetto Surgical Meth Machine, che suona come uno scarto dei Ministry. ‘Perché allora non continuare come Ministry?’ ci siam detti tutti. Lui è la band, il resto, gli altri, da sempre entrano ed escono. Sono dei sessionmen. La risposta, il motivo per cui tutto accada di nuovo, c’è la offre colui che un giorno verrà ricordato, nel bene o nel male, come uno dei politici che ha sensibilizzato un forte movimento di opposizione e di critica, Donald Trump. Se Bush jr è stato il catalizzatore delle idee, le accuse, le ironie e il senso della musica stessa di Al Jourgensen, ecco che Trump è il nuovo motivo per una crociata sonora e non da meno verbale. Dai facciamone un altro Al! Eccolo, atteso e di nuovo con Nuclear Blast. “Twilight Zone” è una sorta di “Scarecrow” dei giorni nostri. Ritmo lento, solenne e marziale e i campionamenti sulla voce di Trump creano un’ossatura memorabile. Oltre otto minuti, roba da ipnosi! Tra l’altro la canzone insieme alla precedente e opener “I Know Words”, mettono nell’ascoltatore la giusta tensione emotiva nell’approcciarsi a questa nuova fatica di Jourgensen e compagni. Eppure la successiva “Victims of a Clown” dura anche qualche manciata di secondi in più e ricorda “Thieves”. Anche in questo caso i campionamenti e i giochi sonori, i collage, montano i Ministry al loro massimo, quelli industrial, post prog, metal ed elettronici. Seducenti e sprezzanti. Tuttavia qualcosa di spietato, sparato a ritmi folli e con un occhio a “Rio Grande Blood” è in “We’re Tired of it”. A proposito la chitarra di Sinhue Quirin è ancora della partita, questo significa che il sale del riffing degli ultimi dieci anni della band è in questo album. L’altra chitarra è Cesar Soto. Ad onor del vero questa volta c’è molta più flessibilità rispetto al periodo che va da metà anni 2000 fino a “Relapse”. Pezzi meno serrati, molto più lavorati, smussati proprio come negli ultimi due album e come prima di quella terminale fase di accusa a Bush e dinastia. L’epopea Ministry risorge, “AmeriKKKant” è eccellente, pulsa di tutto il disprezzo di Al per il sistema, per questo nuovo bersaglio presidenziale. Al si rammarica che la sua gente abbia votato questo presidente, mostrando forse come molti altri l’incapacità di comprendere che l’alternativa era quanto meno poco seducente. Però Al Jourgensen vive il suo tempo e come sempre lo viviseziona con parole di fuoco, arcigne e con musica devastante.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10