(Season of Mist Underground Activists) È un nome che circola da un po’ di tempo, ma solo ora il duo polacco arriva al debutto, avendo precedentemente pubblicato solo materiale come demo e split. Formatisi nella prima metà dello scorso decennio, i Misanthur offrono un black metal molto personale, sicuramente traendo ispirazione da un ampio ventaglio di generi più o meno vicini al metal, mantenendosi marcatamente lontani dal blackned tipico delle bands dell’est. Mid tempo, scenari apocalittici, divagazioni ‘trance’, linee di basso intense, voci che spaziano dal growl al clean, compresa un’ospite femminile, ma anche rabbia e furia: “Ephemeris” non si fossilizza su un solo genere, non cerca di restare confinato dentro un’area limitata e non si avvicina nemmeno al black della matrice dei connazionali Mgła, o qualsivoglia altro black ‘di tendenza’. Nella musica dei Misanthur c’è fantasia compositiva, c’è teatralità, c’è una poderosa atmosfera nella quale viene descritta la discesa nei meandri della psiche di un individuo, della coscienza, del subconscio, dentro una dimensione caratterizzata da degrado… tra debolezze, paure, mostri e fantasmi… evidenziando quella fragilità dell’effimera esistenza umana. La opener “Enter the Void” svela subito l’idea sonora del duo: voci clean, tendenze dark rock, esplosioni black (e pure doom), in un intreccio di oscurità esposta e dipinta con diversi stili capaci di legarsi -fondersi- l’un l’altro con maestosa potenza. L’atmosfera dell’intermezzo di “Dense Mental Trace” porta al black di “On the Heights of Despair”, un black melodico, pungente, glaciale, in grado di giocare con la melodia anticipata dall’intermezzo, evolvendone il suono, la forza, l’impatto. Favolosa “Essence”, un pezzo più dark goth che black, arricchito dall’irresistibile ugola dell’ospite Agnieszka Leciak. Con “Black Clouds & No Silver Linings” si sprofonda, si scende negli abissi con un brano lento, immensamente tetro, esaltato da una chitarra molto avvolgente e da divagazioni malinconiche sublimi. C’è un crescendo di disperazione che esplode con la favolosa, introspettiva, progressive e cosmica title track, mentre la lunga “The Serpent Crawls” si lascia andare, risultando incalzante, progressiva, sorprendente, contorta ma catchy, tanto misteriosa quanto palesemente esplicita. In chiusura “Crush the Stone with the Sea”, brano criptico, brano che va oltre ogni confine, ogni definizione… tanto atmosferico quanto graffiante, tanto idillico quanto violento, tanto etereo quando persistente. Un album che isola, che allontana, che imprigiona dentro le sue seducenti sonorità estreme. Un inno all’Oscurità, una Oscurità dipinta con colori vivi, accecanti, invitanti. Tenebre e devastazione interiore espressi con un livello artistico sorprendente… specie per una band al debutto. Una perla rara, un inferno vivido, un turbinio di sentimenti travolgente.
(Luca Zakk) Voto: 9/10