(Peaceville Records) Il pregio degli inglesi è che se decidono di fare qualcosa, lo fanno con classe. Altrimenti lasciano stare: se non c’è classe non c’è “inglesità”. Questa attitudine vale anche per la musica, pel il metal e tutti i suoi sottogeneri. Ecco quindi che ben dodici studio albums fa un manipolo di anglofoni con la passione per lo sturm und drang e la malinconia si inventano i My Dying Bride. Una creatura passata attraverso l’ascesa e la decadenza di più generi musicali, dal doom al gothic, dall’elettronica al depressive. Ma sempre con un preciso marchio di fabbrica, ossia una smisurata passione per le emozioni forti. Comun denominatore di tutta la carriera resta l’indiscusso leader e cantante, capace con la propria ugola di trascinare l’ascoltatore dentro il labirinto della disperazione più autentica. Dunque cosa aspettarsi dal nuovo platter? Nel’ ultimo lustro i nostri si son fatti decisamente più pesanti nei suoni e continuano la tendenza anche in questo lavoro. “And My Father Left Forever” apre il lavoro nel più classico stile del gruppo. Voce pulita a dirigere una traccia che è summa di tutta la carriera della sposa morente. Archi che disegnano melodie tristi e magniloquenti, chitarre che si appesantiscono via via che il brano procede. La seconda traccia è già più pesante, con il cantato praticamente sempre in growl. Il fatto che l’album parta con un trittico di tre prove di nove minuti l’una la dice lunga sulla maestria compositiva degli inglesi, che non hanno affatto paura di rischiare di annoiare l’ascoltatore. Con la title track l’album prende una svolta più epica e leggermente inedita per il combo che si cimenta con tracce leggermente più brevi e dirette. Le chitarre diventano più immediate e veloci, pur restando nei canoni inventati dalla formazione negli anni. “A Thorn of Wisdom” e “I Almost Loved You” sono forse i brani più romantici, semplici e riusciti del lavoro, con un lento incedere accompagnato dal piano e una voce in leggero loop che sa di sogni e speranze. Chiude il platter una composizione di quasi undici minuti che vuole solo salutarci al prossimo capitolo di una carriera estranea a passi falsi. Il voto pieno ci starebbe solo per la discografia della sposa, che pur non introducendo alla fine nulla di nuovo a quanto già detto in passato, confeziona un disco sincero e passionale.
(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 8/10