(Black Tears/Masterpiece Distribution) “Then I” inizia la sua storia nel 2012, quando i Neith partono con i lavori per realizzarlo, aiutati dalla produzione di Pier Gonella (chitarrista di Mastercastle e Necrodeath). Prima di arrivare alla fine delle registrazioni di questo debut album e di tutto il processo produttivo, i Neith perdono, disgraziatamente, Paolo De Palma, il batterista. Circa un anno dopo, luglio 2013, ecco che “Then I” giunge alla fine del suo percorso, finendo di fatto su dischi di policarbonato. E’ un CD, un album, che sembra essere la fusione di più cose, ma essenzialmente metal. Attacchi power, heavy metal, pseudo epic o viking (questi generi teneteli presenti più per il tipo di melodie proposte), ma anche e soprattutto thrash e death metal. I pezzi scorrono dimostrandosi pesanti o densamente melodici, tanto da scovare tra le note reminescenze di Iron Maiden, Judas Priest, Amon Amarth,forse i Bolt Thrower o i classici riff thrash metal. “Then I” è una sintesi di riff e ritmi canonici, tipicamente metal, scorrevoli e non necessariamente scontati, per quello che è un album il quale alla fine potrebbe davvero piacere ad un vasto pubblico che parte appunto dall’heavy metal e arriva fino al death metal. I pezzi superano i 5′ di media e questo vuol dire che hanno strutture ampie, vedi “Soul Disfigurement” la quale elabora una serie di parti che tendono ad un viking/pagan metal generico, epico nelle sue melodie che non si ripetono e sanno essere sacrali nei toni. Le voci sono pulite, growl, con toni alti, scream flebili, ma il tutto a volte ha un che di confuso, ma non mancano episodi contrari, cioè dove tutto sa essere ben inserito nel tessuto dei pezzi, vedi “Neith” che trova la giusta coesione tra pathos vocale e tessuto delle chitarre. “Darkly Dreamin Fester” è ben oltre i 6′ e con i Neith che si producono in una sorta di progressive metal per come si sviluppano melodie e parti ben incastrate tra loro e dinamiche come fiumi. Graziosi gli oltre 6′ della conclusiva “Sleeping Chambers”, una sorta di lunga ballad (dedicata all’amico scomparso). Sento in giro ancora una patina di imperfezione, come un vino non ancora ben affinato, come un piatto dove gli ingredienti non ci sono tutti o dosati nella giusta misura. C’è molta inventiva, ma non del tutto ben gestita; però riflettevo nei vari ascolti che se questo album i Neith lo avessero inciso in uno studio che utilizzano i grandi del metal, forse avrebbero tirato fuori un piccolo gioiello. Gonella ha fatto il minatore, estraendo dalla miniera stilistica dei Neith un certo valore. Una album d’esordio che sa mettere in luce qualità e difetti di una band che credo possa solo crescere e spero presto.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10