(Battlegod Productions) Tempo delle metal opere. Tempo degli ospiti d’eccezione. Cose che ho già detto. Cose note. Sembra quasi il supermercato dei musicisti, dei vocalist. Chiunque sappia comporre qualcosa, ma non abbia il coraggio di affrontare la scena con una band anonima, si porta in casa (pagando?) il meglio della scena. Ovviamente, come ben insegnano i signori Lucassen e Sammet, se ti porti a casa undici singers, devi dar loro qualcosa da cantare. E siccome non sei Slash e non puoi fare un album con un singer per canzone, in quanto tu non sai scrivere una canzone che risalta quel cantante, allora ti butti sulla rock opera. Scrivi una storia. La metti in musica. Crei personaggi. Li assegni ai performers. Molte tastiere, molta scena, un po’ di cinema. Oggi in troppi si lanciano giù per questa strada. Strada pericolosa. Una strada che può far divertire, ma anche uccidere. Certo, ci sono in giro degli ottimi esempi. E quasi sempre ogni prodotto di questo tipo include un massiccio lavoro compositivo, una coordinazione perfetta. Ma il tempo della novità è passato. E’ passato quel momento dove tutti gridavano alla genialità. Andreas Nergård è un giovane compositore (e bassista, e tastierista, e batterista) Norvegese. Un paio di anni fa ha pubblicato un EP molto ben accolto dalla critica, e questa volta ha tentato il colpo grosso. Il cast, mastodontico, comprende tra gli altri Mike Vescera (Malmsteen, Loudness), Göran Edman (Malmsteen, Norum, Brazen Abbot, ecc), Nils K. Rue (Pagan’s Mind) e molti altri. Le otto canzoni sono belle, senza dubbio. Sono elaborate. Hanno assoli molto belli. Il gioco di voci femminili e maschili, le quali arrivano fino al growl, è certamente ben organizzato, coordinato, ed la capacità dei singoli cantanti è valorizzata molto bene. Ci sono canzoni di prim’ordine, come la conclusiva “Requiem”, quindici minuti molto poetici e coinvolgenti. Rimante tuttavia quella sensazione di forzatura. Manca quel coinvolgimento generale, quel feeling che nasce dalla prima canzone e si trascina avanti fino all’ultima. Manca una linearità, quella linearità necessaria in una rock opera. La storia raccontata è un pochino ovvia, forse scontata: manca sia di quella criptica fantasia tipica di Avantasia (progetto al quale Nergard sembra ispirarsi), e la bizzarra creatività nella stesura della storia tipica di Lucassen con i suoi progetti. Attenzione: non si tratta di un cattivo disco, e nemmeno di un brutto disco. Farà piacere a chi ama il metal progressivo, melodico, ed anche power. Ci sono episodi avvincenti che meritano l’ascolto, meritano attenzione, molta attenzione. Ma considerata la scena attuale, il fatto che (sembra) scrivere rock opera sia ormai diventata una cosa troppo ovvia, l’album raggiunge appena la sufficienza. Non basta saper suonare, poter scrivere bella musica o avere i migliori ospiti in studio. E’ troppo facile cadere nel banale, cadere nello scontato. E’ troppo facile fare un lavoro immenso senza poi colpire nel segno, senza poi creare quelle atmosfere memorabili che gli illustri maestri sono riusciti a creare precedentemente.
(Luca Zakk) Voto: 6/10