(The Wild Mother Rec.) Ho conosciuto Nestler in una bella serata. Con i Philm ha sfornato dei buoni lavori, oltre a cimentarsi con DJ Spooky, Civil Defiance e in altri progetti, e appena saputo di questo album solista è stato fin troppo naturale fiondarsi ad ascoltarlo. Il sospetto che prima o poi Nestler desse libertà e spazio a quel suo sottile senso di eleganza nella composizione, come ha spesso mostrato nel tempo, in un lavoro personale era auspicabile. Nestler è un musicista e compositore misurato, mai spartano e neppure prodigo di eccessi, sentimentale ma non scontato. Con “Mama’s Child” Gerry Paul Nestler inanella una buona serie di canzoni ‘adimensionali’, ovvero per le cui non si può parlare di un genere specifico. Soft, molto, intenso e appassionato, si potrebbe definire cantautorale, ma la parola non è la sola forza di Nestler. Lui che è cantante, ma anche chitarrista, tastierista, autore, arrangiatore, tesse le trame in maniera netta e chiara, supportato, manco a dirlo, da Pancho Tomaselli, suo compagno in musica nei Philm e bassista, oltre al clarinetto, sassofono e flauto di Evan Francis e la batteria di Max MacVeety. Alcune canzoni hanno un tocco rétro, quasi nostalgico nei fatti e forse il motivo è dato anche da quel tono da pianoforte e voce che predomina in molti pezzi. Nestler nel 2016 aveva appunto pensato a un album concepito col piano e la voce; ciò spiega quel senso di intimità e di grazia che avvolge “Mama’s Child”. L’atmosfera è quella di epoche passate, ricordi, fatti, che forse si intrecciano nelle canzoni – non ho ricevuto i testi e dunque viene difficile capire tutto quanto si canta -, per un senso delle cose che riporta spesso agli anni ’50 e ’60. Come nel caso del lyric video di “Koko My Love”, opener dell’album che da sola riuscirebbe a giustificare l’acquisto di “Mama’s Child”, realizzato con delle foto scattate a Los Angeles e dintorni dal padre di Gerry, Frank, durante gli anni ’50.

(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10