(Independent) Profondità sonora. Eccellenza melodica. Ed oscurità, decadenza, tristezza. Arriva il primo full length di questa geniale band Italiana che scolpisce un prog intenso, pieno di tecnica, evoluzioni senza tuttavia mai cercare velocità, o virtuosismi tipici del metal. La loro musica è fluida; ogni canzone si materializza, ondeggia, respira, si evolve, si contorce e si dissolve lasciando un’aura di sensazioni indelebili. Ognuna delle otto canzoni si integra nella visione globale del disco, ma gode di una vita propria, una dimensione personale. La capacità tecnica e compositiva dei quattro membri è immensa: ogni strumento è suonato con precisione, intensità, gusto, calore e il cantante ha una voce estremamente versatile, tanto da stupire in molteplici occasioni: tendenzialmente chiara, energica, ma tetra e decadente, riesce ad emergere con eccessi o accenti sorprendenti, tanto che a volte viene da chiedersi se sia sempre lo stesso cantante. Il ruolo di opener è affidato alla title track: un inizio impressionante, una canzone che vale un intero disco. Ottima l’idea di mettere un pezzo del genere in apertura, in quanto risulta immediatamente convincente e coinvolgente. La canzone è dominata da un velo di tristezza, di malinconia ma offre costantemente una musica esageratamente intensa: arpeggi oscuri sostenuti da linee di basso assolute, mentre il drumming è creativo, elaborato, anche se mai dominante o invadente. La canzone offre un accento di furia, di eccesso, dopo una sezione quasi idillica: si arriva al growl, a ritmiche decisamente appartenenti a generi di metal molto più estremi. Sembra quasi di sentire gli Opeth… ma con una fluidità più scorrevole, con un livello di complessità che non richiede sforzo all’ascoltatore, come se le melodie ed i vari segmenti fossero pensati per accompagnare, per coccolare, anziché sconvolgere e disorientare. “Jacob’s Ladder” è più intensa, più grintosa ed offre molti più spazi individuali: il basso raggiunge nuove dimensioni e la voce di Marco si espande, raggiungendo con disinibizione e facilità toni acuti, più tipici del prog metal. Anche questo pezzo cambia direzione, improvvisa, costruisce, demolisce, ma sempre con una teoria evolutiva che crea dipendenza, con un magnetismo stupefacente. “Dust Of Souls” è uno dei due pezzi da otto minuti (la media delle durate è sempre comunque consistente, senza mai sforare l’estremo o il troppo lungo): emotiva, come la voce del singer, evocativa, come le atmosfere che appaiono e si intrecciano dando origine ad un altro pezzo notevole. Più facile “In Dark Limbo”, anticipa le evoluzioni di “Death And Rebirth”, dove c’è spazio per una sezione molto ben suonata costruita dal bassista usando, qui come altrove, anche la tecnica del tapping (tecnica normale con la chitarra, molto meno usata e conosciuta con il basso). Tuttavia anche questi virtuosismi rimangono integrati nell’insieme ed il risultato è sempre una intensa e completa musica di insieme piuttosto che un’area dimostrativa per eccessi individuali. Molto bella “Within The Core”, dove la flessibilità del cantante riesce a costruire un modo di cantare ed anche un timbro vocale che mi fa ricordare Kurt Cobain. La canzone è musicalmente ansiosa, costruisce una costante attesa evolutiva che finisce per murare l’ascoltatore dentro un coinvolgimento perfetto ed assuefacente. Bellissima anche la conclusiva “An Angel”, pezzo rilassato, rilassante, intenso, immenso, pieno di sentimenti, emozioni, riflessioni. Un disco notevole, grandioso, sconvolgente. Una band che ha tutte le carte in regola per un confronto con la scena internazionale, che è perfettamente in grado di competere e vincere e, permettetemelo, con un devastante vantaggio. Musica senza confini, senza limiti, che distrugge gli orizzonti, offrendo una visione verso il nulla, verso il non conosciuto, il non contemplato, verso quell’infinito che la mente umana non riesce a concepire, ma che può perfettamente immaginare abbandonandosi con passione alle sculture sonore scolpite dai Numph.
(Luca Zakk) Voto: 9/10