(Argonauta Records) Nonostante siano attivi da quasi vent’anni, gli Ocean Chief sembravano scomparsi. Risale infatti a ben sei anni fa il precedente lavoro, l’ottimo “Universums härd” (recensione qui), ma il nuovo album -il sesto- conferma che la band svedese non è affatto fuori forma, anzi, si rivela più pesante e tetra che mai, oltre che sorprendentemente originale. Brani lenti. Mostruosamente lenti. Monolitici. Apocalittici. Ma anche deliziosamente aperti a divagazioni che mescolano teatralità da film horror, con keys settantiane ed elettronica sferzata da linee di basso laceranti: “Hyllningen” ne è un favoloso esempio, un brano contemporaneamente glaciale e suggestivo, ricco di colpi di scena, di varchi oscuri e misteriosi attraverso i quali si è costretti a penetrare, verso l’oblio, verso il nulla. Linee vocali provenienti da catacombe ma anche da eteree dimensioni cosmiche. Atteggiamenti trionfali ma decadenti, come emerge sull’eternità sonora di “Dömd”, un doom dal sapore black, dal gusto psichedelico, dalle divagazioni epiche, un’epicità torturata da mali immondi e sconosciuti all’umanità. Rompe gli schemi l’ottima “Den sista resan”, un brano introverso, introspettivo, delicato e seducente, affrescato con colori che assorbono la luce e risucchiato in echi remoti, spettrali, inquietanti. Brani lunghissimi, percorsi senza fine, poi premiati da “Dimension 5”, bonus track da un quarto d’ora presente solo sulla versione CD, la quale chiude con un altro viaggio che nega tempo, annulla materia, disintegra le definizioni di genere musicale, dando vita ad un trionfo di ombre irrequiete che trascina il doom verso labirintiche dimensioni ambient e crudeli deviazioni psichedeliche. Ci saranno voluti tanti anni, ma gli Ocean Chief hanno pubblicato una perla di doom progressivo, il quale rompe ogni catena, evade da qualsiasi prigione, strisciando libero su terreni fangosi, sottosuoli mefitici e geli siderali.
(Luca Zakk) Voto: 8/10