(Golden Antenna Records) Affrontare l’ascolto di “Signal” vuol dire intraprendere un viaggio tra le umorali istanze del trio di Amburgo denominato OK Wait. Post rock/noise strumentale dai suoni tremolanti e cupi, generatori di melodie malinconiche che rievocano scenari alla Godspeed You! Black Emperor oppure i recenti Russian Circles. Le prime tra fasi dell’album, cioè “Escape”, “Letter” e “Damage” sono piuttosto lente e ci mettono molto a fare accadere qualcosa, per quanto siano abbastanza attraenti nelle loro sonorità dilatate, possenti e trascinate dalla malinconia. Un passo più deciso e melodie più pronte e vorticanti con “Horses” ad esempio, molto dinamismo in “Switch” con le sue cavalcate che in certi momenti ricordano, melodicamente, cose dei Godflesh ma privi della meccanicità e serialità del buon Justin Broadrick. Ritorna una fase cupa con “Sirens” con la sua dilatazione ritmica, mentre la seguente “Mantra” vede OK Wait toccare punte di classe che ricalcano atmosfere alla Swans. Nove pezzi che presentano ognuno un aspetto peculiare, dei primi tre si è già detto e poco hanno convinto, mentre nel proseguire l’ascolto ecco emergere qualcosa di concreto, di emotivamente coinvolgente e di artisticamente interessante. Niente male l’assemblaggio dell’album, infatti “Signal” ha visto la produzione di Peter Voigtmann che collabora con I The Ocean tra gli altri, il missaggio è di Scott Evans che lavora con tanti del circuito alternative e la masterizzazione di Sua Altezza Magnus Lindberg. Infatti, a tutto volume, ma anche a basso volume, le frequenze dei suoni arrivano piene, distinte.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10