(Trollzorn) Dopo un’imperiosa e agitata introduzione, gli Old Corpse Road scatenano il black metal secondo i dettami degli anni ’90, con tastiere che contribuiscono alle atmosfere dando sia un taglio sinfonico che una maggiore recrudescenza di questi scenari gotici, oscuri, infestati da creature orribili. La band da sempre immette nei testi leggende, miti, credenze e storie folkloriche passate dell’Inghilterra. Dopo la maestosa title track che funge da overture, OCR avviano due brani, “Harbingers of Death (Voices in the Tempest)” e “Black Ship”, che manifestano una discreta vicinanza ai Cradle Of Filth dei primissimi anni. Tuttavia la stessa “Black Ship” presenta un’introduzione molto pagan black metal e una sezione finale di carattere viking, nonostante il brano si distenda verso la stessa direzione della precedente composizione. Entrambi offrono comunque atmosfere cupe, truci. Da buoni inglesi, OCR usano matrici sonore dei Cradle Of Filth e in generale di un certo black metal britannico di decenni fa, come Hecate Enthroned o i mai dimenticati December Moon. La band offre tuttavia anche variazioni di stile inattese. “Demons of the Farne” ha qualcosa di maggiormente personale, misto ad atmosfere dark metal. “The Ghosts of the Ruinous Dunstanburgh Castle” sfiora i sedici minuti e mezzo e rappresenta una suite piuttosto articolata, la quale implementa anche andature e atmosfere maestose. Sorprendente, per quiete e grazia, la conclusiva “WaterLore”. In essa sintetizzatori e chitarre prive di distorsioni creano uno scenario estemporaneo. “On Ghastly Shores Lays The Wreckage Of Our Lore” possiede un qualcosa di giù udito altrove, ma non c’è la totale appropriazione di modelli altrui. Gli inglesi rendono i pezzi dinamici, in evoluzione e con spunti spesso interessanti. L’uso di partiture vocali e musicali di stampo viking in particolare, anche se in misura minore rispetto al passato.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10