(Dusktone) Invadente la malinconia che divampa in “Succumb”, la quale però è anche una naturale conseguenza di questo post metal fatto da momenti riflessivi e d’atmosfera, controbilanciati dalle tipiche sfuriate tempestose con il montare dei volumi, della pesantezza dei ritmi e non da meno delle trame chitarristiche. Malinconia che trova nel secondo album della formazione statunitense perché essa non conosce raggi di sole, mostrandosi dunque incupita, forse insofferente. One With The Riverbed sono musicisti dinamici, tendono a cambiare spesso volto ai propri pezzi e tra l’altro tre su otto sono di un minutaggio importante. In primis la conclusiva “Sunlight” con poco meno di dieci minuti di durata, da dove emergono elementi black metal e qualche scenario depressive. Tutti apertamente rintracciabili altrove in “Succumb” e non sono gli unici punti particolari di questo suonare. Musicisti senza un’identità precisa perché celati dietro questo sfumare tra più coordinate di genere, con però poca fantasia o impegno a costruire qualche canzone determinante o distintiva dal punto di vista melodico. Sono dei buoni esecutori i ragazzi di Kalamazoo nel Michigan, al contempo un po’ umorali e forse ingabbiati dalla forma.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10