(Cyclone Empire) Pochi scherzi, gli Ophis sono una istituzione per chi, come il sottoscritto, ha amato la prima effervescenza doom/death inglese di inizio anni ’90: una delle ultime correnti che abbia apportato qualcosa al doom e che, infatti, ancora oggi fa proseliti soprattutto in Europa. I tedeschi, costituitisi come band solo nel 2001, appartengono sicuramente alla seconda generazione di adepti… ma per quel che mi riguarda guidano la processione! “Abhorrence in Opulence” è il terzo full-“length”, che ci mostra la band di Amburgo più sepolcrale e plumbea che mai. “Disquisition in the burning” si prende un buon quarto d’ora: uno schiacciasassi lento e inquietante, capace di suscitare emozioni molto forti nell’ascoltatore che voglia concentrarsi sulla musica e lasciarsi trascinare (personalmente ho avuto l’impressione che il brano disegnasse l’agitarsi caotico e imprevedibile di profonde acque oceaniche…). Sbalorditivo il finale di “Among the falling Stones”, che lentamente si trasforma in una marcia funebre conclusa da un violino molto My dying Bride; “A Waltz Perverse” è il pezzo più breve (d’altronde dura ‘solo’ nove minuti), ma anche quello che tocca tonalità che potrebbero definirsi quasi gotiche. “Somnolent Despondency” inizia e finisce come un pezzo degli Ahab, ma contiene delle accelerazioni death molto potenti e rabbiose; la conclusiva “Resurrectum” è forse, nella sua perversità, la canzone più debitrice di primi Anathema e primi Paradise Lost. Un’ora di musica capace di attaccarsi alla vostra anima con il peso di un monolite: altamente consigliato a tutti coloro che apprezzano il lato più oscuro del doom, che sia death, funeral o apocalittico non importa!
(Renè Urkus) Voto: 8/10