(Autoproduzione) L’opener “Enemies Wait Inside” non mi ha particolarmente impressionato, il cantante con una pronuncia inglese poco fluida. Un sound ordinario e troppo modern metal. La seguente “Dogs That Lick, Dogs That Bite (The Leary Bill of Rights” ribalta ogni mia impressione sui francesi Oredr Of 315, i quali tirano fuori un sound più ringhiante, più vivace, un cantato urlato e roco, in contrapposizione alla pulizia mostrata in precedenza, un basso ben pulsante (Giovanni R. Bladini, anche se un certo Simon Pillard lo suona in 4 pezzi), la chitarra (di Klaus K. Kersey) che ricama riff duri, oltre a qualche spunto solista non indifferente. Sviluppandosi in 8’, questa canzone è un’evoluzione quasi crossover, perché mischia thrash metal, qualcosa di vagamente hardcore (questo elemento emergerà maggiormente altrove, in “S.A (Territorial Gloriuos Story)” ad esempio), melodic death metal e groove metal. Il merito degli Order Of 315 è però quello di pensare ad un songwriting privo di increspature e che non lascia il posto ad una sequenza di generi che si alternano tra di loro. L’ascolto di “Near-Birth Experience” diventa una crescita, raggiunge un climax sonoro che si dilata. Alcune canzoni propongono passaggi dinamici e un tantino intricati, quasi a voler scadere volutamente in un progressive leggero. “The Pact” è un esempio magistrale, vista l’idea di dare al sound una specie di tono cacofonico ai pattern ritmici di Pablo Civil e al dualismo di basso e chitarra. Una canzone che se avesse dentro dell’elettronica o synth aggressivi potrebbe essere dell’industrial. Infatti in “Nonpoint” sembra di avere di fronte i Ministry degli ultimi anni, ma con un grado melodico più agile. La voce è quella di Edgar Jabberwocky, il quale con il suo timbro rude e roco fornisce una muscolosità generale ai pezzi, oltre ad un buon contrasto con le tante fasi scorrevoli, ma il cantante sa comunque modulare momenti più calmi e appoggiare più volte il pathos della musica, quasi alla Soilwork in “In Memory of…” o della solare e semi-ballad “Underwood”. Un’ora di musica che non scorre mai identica a se stessa, ma si evolve di continuo, nelle strutture, nelle melodie e in alcuni spunti personali dei singoli. Un insieme che determina un debut album di ottimo valore.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10