(autoproduzione) Meno di trenta minuti questo album e con qualche canzone accattivante, per i riff e per come la voce si inserisce con le sei corde o come le sorpassa in fatto di melodia. Sostanzialmente gli Original Sin restano incollati a quanto realizzato in “Story of a Broken Heart”, affidandosi cioè a un hard rock-heavy metal nel quale prevalgono in alternanza l’uno sull’altro, nonostante la band sembri molto più a proprio agio nei dettami del rock & hard. “Into the World”, la mastodontica title track, la spigliata ed energica “The Music”, una lode proprio a questa arte, sono tra i momenti attraenti. Eppure l’impressione è che ognuno possa trovare in “Space Cowboys” il proprio gruppetto di pezzi da sottolineare e ricordare. In fin dei conti delle dieci canzoni tutte risultano fruibili e immediate. Si nota, ancora una volta, l’uso ben curato degli assoli, un mezzo che amplia le caratteristiche dei pezzi e non lascia tutto sulle spalle Matteo Berti, voce ma anche chitarra ritmica, per creare i momenti melodici più intensi. L’album però manca di profondità nei suoni e risulta piatto, come in evidenza nella title track. Una riflessione, più che una critica, perché in fin dei conti ognuno si arrangia con i mezzi che ha e tuttavia incidere un album significa anche dare lo stesso vestito sonoro ad ogni singolo pezzo.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10