(Listenable Records) Quanti figli hanno prodotto i Messhuggah? Tanti e forse troppi! Questa però è una situazione che esiste in tutte le “buone famiglie”. Gli Outcast sono anche loro figli della band svedese, capostipite di quella famiglia chiamata djent metal (vedi anche i loro connazionali Gojira), ovvero riff serrati e costruiti su palm muting a tutta birra, con la batteria che li doppia a ruota e tanto groove che inonda ogni cosa. I parigini Outcast sono al terzo album, dimostrando una padronanza scorrevole degli strumenti. I suoni poi sono in splendida forma, tutti i musicisti si ritagliano il proprio spazio e allo stesso tempo realizzano un insieme. Sono tutte caratteristiche che permettono al lato progressive della band di esprimersi in piena forma, sviluppandosi di pari passo con un’innata aggressività. Quello che non convince pienamente è la cronica interruzione della melodia: nonostante ne propongano, lo spazio a lei concesso è sempre limitato. Peccato, le canzoni ne avrebbero guadagnato. I pezzi più “fruibili” di questo intrico di cose che è “Awaken the Reason”, si rivelano “Isolation”, “Awaken the Reason – Part XI : Reprise” e “What Would be my Final Commitment ?”. Va riconosciuto però che a cinque individui che filano trame sospese tra thrash, death metal, hardcore e tutto il resto, non si può pretendere di essere più melodici del dovuto. Al massimo, la vera annotazione da fare, è qualche passaggio slegato che fa apparire alcuni brani come composizioni di maniera, accademiche. Il ritratto di questo album è chiaro e chi si sente vicino a quelle sonorità può concedersi questo album.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10