(Nuclear Blast) Cosa si può mai scrivere di un artista come Peter Tägtgren, la mente dietro ai Pain fin dagli inizi (progetto nato per hobby, tra l’altro) che risalgono ad un ventennio fa? Ottavo album per un artista che oltre a seguire i suoi Hypocrisy, è diventato anche la componente musicale del progetto Lindemann di Herr Till Lindemann, front man dei Rammstein… e con tutti questi impegni arrivare ad un ottavo album per un progetto “part time” non è certamente uno scherzo, specialmente se consideriamo che ogni singolo disco è finito in qualche modo in qualche classifica. Si, perché Pain è industrial metal mescolato con metallo vero, hard rock, un po’ di gothic e tutto quello che passa per la testa di Peter, il quale con questo progetto forse si sente più libero artisticamente (dopotutto è un hobby, giusto?). Sicuramente tra i pionieri dell’industrial metal, un genere che mantiene la potenza del metallo ma accetta una massiccia farcitura di elettronica, effetti, beat e atmosfere generalmente digitali/industriali, un album dei Pain è sempre una certezza, una sicurezza, un qualcosa che ha sempre prodotto musica d’altissimo livello, compatibile con un ampio ventaglio di gusti, qui soddisfatti anche da una produzione superlativa… cosa non causale visto che Peter è anche uno dei produttori più tosti della scena. E dai suoi contatti, anche professionali, salta fuori che Joakim Brodén dei Sabaton, band che Peter ha prodotto, è guest vocalist nella canzone “Call me” la quale ha dei connotati molto più power e rock. Intelligente “Designed To Piss You Off” brano più southern che industrial, stupenda “A Wannabe”, canzone catchy, travolgente, complessa ma con quell’essenza che dopo un’ascolto non te la togli più dalla testa (scalare le classifiche è un’arte, bisogna saperci fare!); il brano poi offre arrangiamenti orchestrali, presenti anche in tutto il disco, espressi con maestria ed intelligenza, e capaci di innalzare il livello di tutto il lavoro. Scatenata e molto digitale “Pain In The Ass”, molto Rammsteniano (sarà un caso?) il riffing di “Black Knight Satellite”, un brano con una coinvolgente performance vocale, specie in occasione del ritornello (e pure un testo fantastico!). “Coming Home” è oscura, stuzzicante, molto melodica ed offre come guest un drummer “fresco”… ovvero il figlio di Peter. 17 anni. Piacevolmente schizoide “Absinthe Phoenix Rising”, epica “Final Crusade”, moderna (si, moderna, più del resto!) “Natural Born Idiot”. Riflessiva e tetra la conclusiva “Starseed”, un brano fantastico che chiude in maniera eccellente un disco veramente ottimo. Metallo feroce. Precisione elettronica. Orchestrazioni pompose. Canzoni perfette e dannatamente magnetiche. Siamo a livelli geniali. Ma, se vi garba, potete ignorare la cosa; in fin dei conti è solo un hobby, coltivato a tempo perso da parte di un signore svedese di mezza età…
(Luca Zakk) Voto: 9/10