(Inside Out) Non è mai facile descrivere la musica di una band eclettica come quella dei Pain Of Salvation. Negli anni, la formazione svedese ha ridefinito sotto molti aspetti in concetto di progressive metal, in un periodo in cui la spinta innovativa del genere è andata ad affievolirsi, sull’onda delle miriadi di bands che, anziché cercare un sound personale, si limitavano a sfornare pallide imitazioni di quanto proposto dai Dream Theater. I Pain Of Salvation, invece, hanno seguito un percorso tutto particolare, dove il prog dei ’70’s si incontra con il metal moderno, sonorità vicine al pop ed echi alternativi, in un calderone musicale alquanto variegato, con brani non sempre immediati, ma estremamente ricchi di sfumature che affiorano ascolto dopo ascolto. Dopo un paio di dischi di ottima fattura, ma piuttosto lontani dalle sonorità heavy degli esordi, i nostri tornano con un album che li riavvicina al metal, ovviamente riletto sempre nella loro personalissima maniera, con canzoni dal riffing corposo, caratterizzato da tempi dispari piuttosto contorti ed ottime orchestrazioni. Il mood dell’album è malinconico, dovuto anche al contenuto dei testi, nei quali il cantante e leader Daniel Gildenlow parla dei seri problemi di salute che lo hanno afflitto nel 2014, offrendo un’interpretazione molto sofferta e toccante. Non saprei citare un pezzo in particolare. Ognuno di essi è talmente ricco di sfumature che va assimilato con svariati ascolti, cogliendo di volta in volta sensazioni nuove. Un album potente e malinconico, estremamente tecnico eppure ricco di grandi melodie. Bentornati!
(Matteo Piotto) Voto: 8/10