(Autoproduzione) Lo so, non è la prima volta che litigo con un disco doom o sludge… però, a mio modesto parere, per suonare questo genere serve criterio. Ripetere lo stesso riff (o peggio la stessa nota!) per un quarto d’ora NON E’ fare musica. Chiudere i brani con tre minuti di riverberi e feedback dell’amplificatore NON E’ fare musica. Andare lentissimi per partito preso, senza idee e senza direzione, NON E’ fare musica. Servono intuizioni, serve creare atmosfera, serve coinvolgere l’ascoltatore… Ora, con questa premessa ultranegativa, capirete che per quel che mi riguarda i Pale Horseman di Chicago creano un disastro completo, restando infatti vittime di tutti i più comuni difetti di chi si dedica alle sonorità asfissianti dello sludge. La opener “Evidence of a severe Stoning” martella troppo compiaciuta sugli stessi quattro accordi; “Conquistador” è forse ancora più monolitica. “Running for the Caves” ci mette almeno un po’ di violenza, ma le linee vocali di “Black Lotus” sono decisamente strascicate e poco riuscite… “Clairvoyant”, 16 minuti e 36 secondi che si ripetono immutabili, è davvero capace di mettere a dura prova la pazienza dell’ascoltatore (al secondo ascolto mi sono trovato davvero a desiderare che finisse…); e i dieci minuti conclusivi di “Fork in the Road”, brano già apparso su vecchie pubblicazioni e remixato in senso industrial, non aggiunge nulla allo spessore di questo disco, ma finisce per suonare come una digressione non richiesta. Dispiace davvero dirlo, ma questo dei Pale Horseman è forse il disco meno riuscito che mi sia capitato di recensire quest’estate.
(Renato de Filippis) Voto: 4.5/10